Elogio di un muro (si può?)

Roberto Beccantini17 giugno 2016

Il filo che lega Belgio-Italia 0-2 a Italia-Svezia 1-0 è un filo di ferro. Si chiama fase difensiva. Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini e il resto della squadra. Non è tutto lì, ma tutto comincia da lì. Come a Berlino, dieci anni fa. Non siamo i più forti, e difficilmente lo diventeremo. Ma in questo Europeo che spesso paga alla fine, e la cui media gol ha appena toccato i due a partita, siamo già agli ottavi e se penso all’aria fritta e tragica di un mese fa, bè, qua la mano.

In due gare, una parata di Buffon, una sola: su Nainggolan, lunedì sera. E non più di due palle-gol concesse: a Lukaku e a Origi. Nella tonnara che è il calcio di fine stagione, i «bastardi» della stampa francese sanno essere anche sceriffi. Occhio, però, alle tirate di maglia: Lichtsteiner l’hanno beccato, Bonucci quasi.

Ha deciso l’attaccante che avrei tolto: Eder. Invece Conte ha richiamato Pellè. Meno male. Non capita spesso di segnare da rimessa laterale: Chiellini, Zaza, Eder. La sgrullata di Zaza è stata cruciale, non solo preziosa, con una torsione da lottatore. A conferma che, in assenza di fuoriclasse, un quarto d’ora di popolarità non si nega a nessuno, basta iscriversi e volerlo.

Gol a parte, sono state la ripresa della squadra e la traversa di Parolo a giustificare il diritto alla vittoria, fin lì molto esiguo. Erano sei, gli juventini in campo nel finale. Un dettaglio che regalo alla vostra sportività. Era una partitaccia da zero a zero, con Ibra che aveva bisogno dei muscoli di Chiellini o chi per lui – come Alì dei pugni di Foreman, a Kinshasa – per creare quell’atmosfera da «rumble in the jungle» che tanto lo eccita.

Bravi noi a studiare il Belgio. Bravo Hamren a studiare noi (e, per un tempo, a romperci le scatole). Poi, però, alla riffa degli episodi è entrato Zaza ed «uscito» Eder. Conte corrente.

Due parole su Pjanic

Roberto Beccantini15 giugno 2016

Alcuni pazienti mi chiedono un parere su Pjanic alla Juventus. Penso questo. Sono soltanto due i giocatori che, oggi al mondo, possono spostare una stagione: Leo Messi e Cristiano Ronaldo.

Il fuoriclasse, per me, ha bisogno di un pallone; il campione, di una squadra, Miralem Pjanic non è un fuoriclasse, anche se ne ha i colpi: come le punizioni, il tiro e il dribbling (a patto che lo eserciti al fronte, nelle zone smilitarizzate sono capaci tutti).

E’ un po’ lento, ha 26 anni, l’età giusta, e svolge mansioni che fluttuano tra il rifinitore e la mezzala. Nella Roma di Garcia giocava a ridosso delle punte, nella Roma di Spalletti più indietro, con Nainggolan più avanti. Pjanic è un eccellente giocatore, tendente al campione, con scorte di fantasia che non fanno pensare al serbatoio di un jumbo ma neppure a quello di un motorino.

Appartiene alla scuola della ex Jugoslavia, scuola che per indolenza e indisciplina (si è poi capito quali ne fossero le cause) ha vinto la metà della metà di quello che avrebbe dovuto. Alla discontinuità di fondo va poi aggiunta la discontinuità del ruolo. Chi gioca lì fornisce qualità, non quantità. Fermo restando che si deve sempre tendere al massimo, cioè alla quantità della qualità.

E’ costato 32 milioni, non mi dispiace anche se non ne ho mai fatto una malattia. Ma io non conto, conta l’idea. Se una società come la Juventus e un allenatore sulla cresta dell’onda come Allegri hanno puntato dritti su di lui, nessuna obiezione. Da Draxler a Hernanes mi perdo; da Pjanic a Pjanic mi oriento. Come il Dybala di un’estate fa: sarà lui il dopo Tevez. Nascosti sulla sponda del fiume, caricammo i moschetti. Lo fu.

E comunque, la penso come la pensa Silvano Ramaccioni: «Si può sbagliare un acquisto, non si può sbagliare una cessione».

«Giac» che ci siamo

Roberto Beccantini14 giugno 2016

E’ sempre emozionante e istruttivo quando una squadra senza talento batte dei talenti senza squadra. Dico subito che il 2-0 di Italia-Belgio è persino esagerato, non però la sua morale, la sua lezione. In questi casi, è consigliabile evitare gli eccessi. Conte è un allenatore che seduce. Meno fuoriclasse ci sono, e più l’adesione diventa totalizzante, reciproca. L’ho scritto: non ricordo una Nazionale più modesta di questa. Ma non rammento neppure una Nazionale con un cuore così grande e dall’organizzazione così marcata.

In passato ci si scannava attorno a Totti e Del Piero. Oggi, il convento offre El Shaarawy o Darmian, Eder o Zaza. La classe disordinata dei belgi, secondi nella classifica Fifa, si è consegnata alle sbarre del nostro mordi e fuggi, del nostro catenaccio (ma sì). Siamo stati fortunati, ma non abbiamo rubato nulla: se Lukaku si è mangiato il pari, Pellé avrebbe potuto raddoppiare già nel primo tempo. Devono migliorare, gli azzurri, nell’ultimo passaggio e nella gestione di quegli attimi in cui la partita sembra sfuggire e bisogna aggrapparsi a tutto, anche ai gialli.

I gol portano la firma di Giaccherini e Pellè. Giaccherini è un pupillo di Conte. Lo volle alla Juventus, strillò quando Marotta lo cedette. Bonucci in versione Pirlo, Giac in versione attaccante di razza: stop di sinistro e destro nell’angolino. Poi il muro della Bbc, le volate di Candreva, lo spirito di sacrificio di tutti. Vincere la prima ci ha spesso illuso. Penso al Prandelli brasiliano e al Sacchi inglese. Sarebbe però superficiale, adesso che è stato domato, ridurre il Belgio al rango di brocchi. Così come sarebbe demenziale sottovalutare la Svezia di venerdì.

Abbiamo una squadra. Si sapeva. Abbiamo una squadra capace di liquidare i signori del mercato (Hazard, De Bruyne, Nainggolan, eccetera). Non si sapeva (o meglio: il gentile Lex sì, io no).