Il forziere di Siviglia

Roberto Beccantini22 novembre 2016

Mi gioco subito l’aiuto del pubblico: c’era il doppio giallo su Vazquez, c’era il rigore su Bonucci, c’era l’espulsione del tarantolato Sampaoli. Un solo errore, Clattenburg: la piccola indulgenza a Cuadrado con iellatissimo effetto domino (il primo giallo del «Mudo»). Per un tifoso juventino di Ottawa, l’arbitro è stato «coraggioso». Per un altro, del Tavoliere, «severo».

Passo adesso alla telefonata a casa: a Lione, nonostante un rigore contro e un uomo in meno (Lemina: dal secondo tempo, però), la Juventus aveva vinto. Comunque. Non solo: il fallo «su» Bonucci ricordava il fallo «di» Bonucci.

Chiudo con il cinquanta-cinquanta: il Siviglia è una grande squadra, come documentano il terzo posto in campionato e le tre Europa League di fila, e il tarantolato Sampaoli un grande tecnico. Ad Allegri mancavano fior di titolari, da Higuain a Dybala. Ho dimenticato qualcosa?

La Juventus, adesso. Già promossa agli ottavi e leader del girone, addirittura. Non le resta che la Dinamo, in casa. I numeri sono un inno, il gioco non ancora. Sorpresa in avvio (bello il tiro di Pareja, coperto e in ritardo Buffon), dopo due minuti di pressing alto, diconsi due, e poi ciondolante dalla finestra fino al semaforo rosso di Vazquez e agli undici metri di Marchisio.

Il Siviglia, che a Torino scese senza punte, ha fatto massa. Qualcuno spaccerà per 4-3-3 il catenaccione mobile della Signora: a me sembrava, sinceramente, un 4-5-1. Pochi tiri, rari brividi, lo stadio tipo plaza de toros, con Clattenburg inviso torero. I gol di Bonucci, infinito, e Mandzukic, sfinito, hanno fissato un risultato troppo obeso. Cito di striscio la montagna di errori nei passaggi e le incredibili doglie sul 2-1. Sorsi di Kean, una gran fame di calcio e, al termine, tutti al bar a ordinare «la classifica, prego».

Il sabato del miraggio

Roberto Beccantini19 novembre 2016

Nel sabato in cui Cristiano Ronaldo demolisce l’Atletico e il Barcellona senza Messi, Suarez e Iniesta fa 0-0 in casa con un Malaga in nove (ma allora: i giocatori o il gioco?); e sempre nel giorno in cui Wenger toglie dal sarcofago Giroud e acchiappa Mou per la coda (cambio azzeccato o formazione sbagliata?) e il Borussia Dortmund regola il Bayern di Ancelotti (che birra, mamma mia, che birra); ecco, la notte l’ha chiusa la Juventus di Moise Kean, il primo ragazzo del Duemila a esordire in serie A. Gran fisico, gran cresta, dodici minuti, un passaggio ricevuto da quei tirchioni di compagni, uno solo, e un angolo procurato.

La cronaca svapora in questo battesimo sul quale, per pudore, mi fermo. Se son rose, fioriranno: Raiola è un bravo giardiniere. Punto. Per la verità, è stato anche il sabato di Deportivo-Siviglia da 2-0 a 2-3. E martedì sera, Siviglia-Juventus. Il 3-0 inflitto al Pescara riassume e incarna la stoffa dei singoli, come documenta l’azione della rete di Khedira, la modestia degli avversari, crollati nel secondo tempo, e il massiccio turnover al quale, un po’ per scelta e un po’ per forza, Allegri era ricorso.

Il domicilio di Higuain, soprattutto con Mandzukic al fianco, si allontana sempre più dall’area, in puro stile Tevez o Dybala. Dettagli. Come la verve d Alex Sandro. Più significativa, se mai, la vittoria del Napoli a Udine. La doppietta di Insigne ha già fatto stappare bottiglioni di titoli: da «mago» in giù. Il calcio è metà scienza e metà riffa, non mi stancherò di ripeterlo. Con Higuain il Napoli non aveva mai vinto, in Friuli. Senza il Pipita (e senza Milik, senza Gabbiadini), avrebbe potuto imporsi di goleada.

Dimenticavo due cose. La prima: siamo alla periferia dell’impero, ma il gol di Hernanes è stato bello. La seconda: è stato l’ultimo derby al Vicente Calderon. Dal Manzanarre al Reno, di quel securo il Cholismo tenea dietro al baleno. Ma non più all’Alieno.

Ma abbiamo un centravanti?

Roberto Beccantini15 novembre 2016

Senza l’enfasi che il 31 dicembre del 2005 l’allora segretario dei Ds Piero Fassino riversò sull’allora amministratore delegato di Unipol, Giovanni Consorte, «Ma abbiamo una banca?», penso che ci si possa chiedere, dopo Italia-Germania 0-0, «Ma abbiamo un centravanti?». Probabilmente sì. Andrea Belotti, classe 1993, 23 anni il prossimo 20 dicembre (ma guarda…). AlbinoLeffe, Palermo, Torino. Il gallo Belotti. Con i giovani ci vuole pazienza. Se hanno il dovere di farci sognare, hanno il diritto di poter sbagliare.

Il palo che ha colpito contro i tedeschi, dopo essersi liberato di Mustafi, non proprio un pivello, è roba vera. I paragoni sono sempre impegnativi, e spesso pericolosi. C’è chi ha riesumato Gianluca Vialli e chi, per quelle spalle incassate, Long John Chinaglia. Belotti è pronto di tiro e di passaggio (vedi l’intesa con Immobile). Nel difendere la palla, poi, sa usare il corpo dell’avversario come fionda e non solo come sasso.

Mi fermo qui, anche perché prima che il Gallo canti tre volte eccetera eccetera. Era un’Italia di mezzo; era, soprattutto, una Germania baby. Per un tempo, meglio loro, più orizzontali. Nel secondo, meglio i nostri, più verticali.

Con Belotti, mi sono piaciuti De Rossi, Romagnoli e Rugani. I traslochi da un modulo all’altro e da una generazione all’altra procedono con calma. In vista di Spagna-Italia di settembre, Ventura vorrebbe anticipare l’inizio del prossimo campionato. E’ come guardare il dito che indica la (super) luna. La luna è il numero delle squadre: venti. Troppe.

C’era in azione la Var, a San Siro. Video assistant referees per chi sa le lingue, moviola in campo per i clienti dei Bar sport. Dicono che abbia risolto in cinque-sei secondi il mistero del gol di Volland, annullato per fuorigioco (di un ginocchio). Wow.