L’anno di Bergamini (spero)

Roberto Beccantini29 dicembre 2011

Alla ricerca di un’Italia migliore. E’ stato un anno duro, molto duro, e il nuovo non promette né garantisce carezze: ce le dovremo guadagnare. I bilanci sono materia infìda: si rischia sempre di dimenticare qualcuno, qualcosa. Dedico il 2011 a Walter Bonatti e Marco Simoncelli: un uomo che ha scalato quello che voleva, un giovane che lo stava scalando.

Cercansi dirigenti capaci di governare la res publica e non semplicemente la res privata: che non è meno importante, ma è «meno». Ci mancano tipi così, cacciatori di confronti e non di consensi. Gli Europei di calcio, d’accordo. L’Olimpiade di Londra, per carità: il baule del calendario è strapieno, basta metterlo in ordine. Vorrei tanto che il 2012 diventasse l’anno di Denis Bergamini, un calciatore morto di morte misteriosissima nel novembre 1989. Giocava nel Cosenza, sparì un sabato pomeriggio, fu trovato cadavere vicino a un camion. Si parlò di suicidio. Non lo era. Carlo Petrini lo ha raccontato in un libro, «Il calciatore suicidato» (Kaos Edizioni, 2001). L’abnegazione della famiglia di Denis, e dei suoi avvocati, ha portato alla riapertura del caso. Troppi punti oscuri. L’Italia, del resto, è il nido dei sospetti, delle indagini non sempre a 360 gradi, da Ustica a Calciopoli.

Mamma, papà e sorella hanno diritto alla realtà dei fatti e non al reality di facciata che venne ambiguamente offerto per liquidarne il dolore. Nei ritiri, Bergamini divideva la camera con Michele Padovano, condannato in primo grado, il 12 dicembre, a otto anni e otto mesi di reclusione per associazione a delinquere e traffico di stupefacenti. La pista della droga, subito esclusa, costituisce una chiave di lettura che andrà approfondita.

La fine di Bergamini come simbolo di tutti i misteri e tutte le verità parziali che ci infestano. Buon anno, cari pazienti. E abbasso la pigrizia: scavare non piega la schiena. Anzi.

I due pentiti

Roberto Beccantini27 dicembre 2011

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi, scriveva Bertolt Brecht. Povera Italia, allora. Le feste natalizie ce ne hanno portati addirittura due, di eroi. Il primo, con nome e cognome; il secondo, senza. Un giocatore di calcio e un ex carabiniere.

Simone Farina è un difensore del Gubbio, passato agli onori della cronaca per aver rifiutato e denunciato la proposta indecente di 200.000 euro – da spartirsi con altri tre compagni di squadra – per truccare la partita di Coppa Italia Cesena-Gubbio. Il gesto, straordinario, ha spinto il ct Cesare Prandelli a invitarlo al raduno della Nazionale in vista dell’amichevole del 27 febbraio 2012 con gli Stati Uniti. Al netto dell’enfasi: dall’interno del sistema, Farina ha sfidato ufficialmente il potere malavitoso che controlla il giro immane, e infame, delle scommesse.

L’ex carabiniere, uno degli «intercettanti» all’epoca di Calciopoli, ha svelato, nel corso di un’intervista, che l’inchiesta del procuratore Giuseppe Narducci e del tenente colonnello Attilio Auricchio «fu gravemente manipolata»: piste preferenziali, telefonate «da leccarsi i baffi» (non tutti, però), schede svizzere spente, Inter ignorata, audio pro-Della Valle sparito. Eccetera eccetera. Un «già sentito» inquietante. Al netto dell’enfasi: il carattere parzialmente anonimo delle accuse, pesantissime, impone verifiche rigorose.

Come dimostra il Watergate di nixoniana memoria, le gole profonde non sempre sono discariche di menzogne. Auricchio ha già smentito con sdegno, ma lo sdegno non basta. Nessun dubbio che Calciopoli 2 abbia allargato il fronte di Calciopoli 1. Ciò doverosamente precisato, sono d’accordo con l’avvocato Maurilio Prioreschi: in attesa che un Guariniello curioso apra un fascicolo, il signor «Innominato» corra dai magistrati e racconti le sue verità, già illustrate ai giornalisti.

Come ha fatto Simone Farina, senza passare dai giornalisti.

L’imbattibilità “pericolosa”

Roberto Beccantini22 dicembre 2011

Per usare un lessico tristemente di moda, non ci avrei scommesso un euro. Juventus prima con il Milan e unica squadra imbattuta. La scorsa stagione, dopo sedici partite, tutte ne avevano già perse almeno un paio. E la classifica era questa: Milan 36, Juve, Napoli e Lazio 30, Palermo, Roma e Inter 26, Udinese 23. Oggi, invece: Juve e Milan 34, Udinese 32, Lazio 30, Inter 26, Napoli e Roma 24. L’andatura è più lenta e la «testa» più corta: solo Juve e Udinese si sono migliorate. La sosta natalizia cela non meno insidie di quanto il mercato di gennaio non nasconda illusioni.

Si diceva di Conte: è un fissato del 4-2-4. Negativo: ha smontato e rimontato il modulo fino a sbagliare, quando ha sbagliato, per eccesso di zelo. A Udine, per esempio, avrei confermato il 4-3-3 e affiancato Quagliarella a Matri. Il totem con il quale tutti dovranno misurarsi è Zlatan Ibrahimovic. Siamo alle solite: il tenore contro l’orchestra, il solista contro il coro. Attenzione a Inter e Roma: zitte zitte, stanno risalendo la china. Ranieri prima o poi calerà l’asso Sneijder; Luis Enrique, come Conte, non ha zavorre europee che possano fiaccarne le guarnigioni.

In regime di tre punti per vittoria, l’imbattibilità è pericolosa. Può portare a inconsci appagamenti: la Juve ha già pareggiato sette volte. Troppe. Favorito, resta il Milan: sai che scoperta. La Juve avrebbe bisogno di un centrale difensivo, di un Behrami in mezzo e di un Ibrahimovic in attacco (di un Ibra, non di un Borriello). Galliani prenderà Tevez o Maxi Lopez: beato lui. Gira e rigira, la Juve di Del Neri aveva solo quattro punti in meno. Cominciò a crollare alla ripresa, fra Parma in casa e Napoli fuori. Perse Quagliarella, smarrì Krasic: buona notte. Conte ha costruito una squadra vera. Dopo le vacanze, la Juventus volerà a Lecce, dove a febbraio conobbe una delle più cocenti umiliazioni.

Insomma: tanto tuonò che pioverà.