La prima volta

Roberto Beccantini15 marzo 2023

In amore come nello sport, la prima volta conserva un sapore speciale. Poi magari si dimentica, perché ne sono seguite altre, o si ricorda, perché unica, ma non è solo un momento: resta un memento. Così, penso, per Napoli e il Napoli, la prima volta nei quarti di Champions. E sempre al galoppo: 2-0 all’andata, 3-0 al ritorno.

D’accordo, avrà pure liquidato un Eintracht «Francofortino» (la battuta è di un lettore partenopeo: complimenti), ma c’è modo e modo, e anche in questo caso la squadra di Spalletti ha divertito divertendosi. Il taccuino non merita che una pia rivisitazione. Doppietta di Osimhen: il primo di testa, staccando dalle zolle con la fede ciclopica del buon Cristiano, su parabola di Politano; il secondo in scivolata, su cross del capitano (Di Lorenzo). Poi il rigore di Zielinski. E i dribbling di Kvara che, anche quando non segna, sogna. Con lo scudetto in tasca, l’Europa diventa una splendida eresia. Il Napoli non è la squadra più forte: è la squadra più bella. E i tedeschi? Già in casa, con Kolo Muani, erano stati facili prigionieri; figuriamoci al Maradona, senza.

Con il Napoli, le milanesi: dunque, tre italiane nei quarti. Non succedeva dalla stagione 2005-2006 (Inter, Juventus, Milan). I sorteggi sono stati clementi, per carità, ma il pronostico è un indizio, o al massimo un indirizzo: mai una sentenza. In attesa dell’urna, vi giro il mio podio: Manchester City, Real Madrid, Bayern. Poi le altre – Chelsea, Napoli, Benfica, Inter e Milan – in ordine sparso: chi per gioco (Spalletti, Schmidt), chi per solidità (Potter), chi per storia societaria (Inzaghi, Pioli).

** Real Madrid-Liverpool 1-0. Il 5-2 di Anfield l’aveva trsformata in una gita al Luna Park. Si deve alla ricchezza dei portieri la povertà del risultato. Ha deciso Benzema, e chi se no?, su assist «rasoterra» di Vinicius. Carta bianca.

Ma allora, questo campionato…

Roberto Beccantini14 marzo 2023

Dopo il Milan, l’Inter. E se il Napoli non si suicida con l’Enitracht, saranno tre. Tre italiane nei quarti di Champions. Sursum corda, chioserebbe Lotitus. Come se al nostro campionato, d’improvviso, qualcuno avesse ordinato: «Alzati e cammina». E naturalmente: oh risultato! mio risultato!

Dal Diavolo di Pioli, 1-0 e 0-0 con il Tottenham, ai guerrieri di Inzaghi, 1-0 e 0-0 con il Porto. Il problema, per le edicole e i tribunali del web, era Simone: e adesso? Genio al Camp Nou, con il Napoli e nei derby d’inverno, pirla in provincia, di nuovo genietto, immagino, al «do Dragao». Con quel po’ di sedere (tra «parata» di Dumfries e pali) che eccita i tifosi e sgonfia i cacasenni. Conosco i miei polli: l’ultima spiaggia sarà la prossima. Anche perché i giocatori, anime belle, raramente rischiano la corte marziale. Beati loro.

Non certo un poema di Omero, la partita. Noiosa per lunghi tratti, sino alla riffa conclusiva, dove nulla è successo ma molto sarebbe potuto succedere. L’Inter ha retto di squadra, tradita da Dzeko, Lautaro e Barella, soffrendo e ringhiando attorno a Onana, Darmian, Calhanoglu e Mkhitaryan: per me, i migliori. Il cuore oltre l’ostacolo, avrebbero titolato nell’Ottocento. Scandita, in avvio, da un equilibrio che attaccanti più scaltri avrebbero dovuto padroneggiare meglio, la trama si è poi data a sequenze da vecchia Inter, tutti indietro appassionatamente. C’è stato un calo fisico, anche. Troppo tardi, Taremi e Galeno si sono buttati sotto. Solo da una emergenza così palpitante poteva scaturire, nell’Inter, una simile volontà: la volontà come destino, per avere ragione del destino (da Jack London, più o meno). E comunque, a Porto, erano caduti la Juventus di Cristiano e il Milan.

** Manchester City-Lipsia 7-0. «Manita» di Haaland più Gundogan e De Bruyne. Dal centravanti-spazio al centravanti-ciccia: mica fesso, mastro Pep.

Sulla carta

Roberto Beccantini12 marzo 2023

Nel campionato degli «sfrattati dal Napoli», quello che resta della Juventus ha sconfitto per 4-2 quello che resta della Sampdoria, ultima della classe con la Cremonese. Il risultato è lo stesso del derby. I migliori sono stati Rabiot, Fagioli, Kostic e, per un tempo, Djuricic. Nonno Bonucci, viceversa, tanto ha dato ma temo che sia arrivato il momento. Bebè di qua, bebè di là: Allegri aveva sbagliato formazione, penso al Bonucci di cui sopra e a Barranechea (2001), sedotto e abbandonato (per la seconda volta). Meglio la versione con Cuadrado e Locatelli.

Stankovic vive di gioco, per fatuo che sia; Max, di giocate; e se manca l’Angelo custode, è facile che cada in tentazione. Neppure due gol di vantaggio, entrambi di testa – di Bremer, su angolo di Kostic; di Rabiot, su cross di Miretti – avevano offerto alla Signorinella argomenti validi per non farsi borseggiare. In 25 partite, il Doria aveva raccolto la miseria di 11 gol. Nel giro di sessanta secondi, o giù di lì, ne ha realizzati due, addirittura. Con Augello, dopo blitz di Leris, e con Djuricic, dopo volatona di Zanoli, scuola Napoli.

Le ruggini d’Europa, come no. I problemi legati, sulla carta, alla carta. Tutto quello che volete: ma di fronte, con tutto il rispetto, non c’era il Real. E Gabbiadini, per la cronaca, avrebbe potuto spaccare l’equilibrio già al 7’. I cambi hanno agitato la ripresa e orientato l’esito. Rabiot si è ripetuto, di lecca (e di braccio? Moviolisti di tutto il mondo, a voi). E poi agli sgoccioli, con gli avversari sfiniti, Soulé (2003). E Vlahovic? Ha tirato sul palo il rigorino procurato da Cuadrado e stampato sulla traversa – complice il carpiato di Turk, portiere sloveno di 19 anni, un po’ ingessato in avvio – la sgrullata dal cui rimbalzo sarebbe nato l’ultimo squillo. E’ un periodo così. Poco servito e poco «tecnico» nel controllare e smistare le briciole che gli arrivavano o rastrellava. Notizie di Pogba? Un indurimentino. Et voilà.