Un tempo a testa, ma meglio loro

Roberto Beccantini23 marzo 2023

Nello stadio intitolato a colui che la fregò e la sbranò, l’Inghilterra ci ha battuto per 2-1. Era il battesimo delle qualificazioni europee. Mancini, dal cilindro, aveva estratto il coniglio di Mateo Retegui, argentino dal bisnonno di Canicattì. Ha realizzato il gol della bandiera, su assist di Pellegrini. Ha procurato il secondo giallo di Shaw. E’ sopravvissuto a un primo tempo dominato in lungo e in largo dai «leoncini». Ha 23 anni, veniva da un altro mondo. Guai a trasformarlo in una mano di roulette. Se il ct ci crede, gli dia altre occasioni: e più munizioni.

Naturalmente, chi non c’era (Locatelli, Zaccagni) verrà invocato e rimpianto. Jorginho non ne azzeccava una, Barella e Verratti si perdevano nella giungla. E là davanti, zero tiri. Per 45’, solo England: gran parata di Donnarumma su Bellingham, rete di Rice in mischia, rigore di Kane per mani-comio «varista» di Di Lorenzo, topica clamorosa di Grealish a porta vuota. Il destino non ha gradito, anche se poi non ha infierito.

Ripresa a copione rovesciato. Bellingham, che giocatore!, scendeva di livello e, zoppo, si ritirava. Kane – 54 gol, nuovo top-scorer dei bianchi – operava in pratica da «dieci», ma Saka e Grealish non riuscivano più a dettargli il passaggio o ad aggredirne le idee. Cresceva, in compenso, l’Italia. Gnonto e Politano stappavano bollicine, Tonali e Cristante portavano ciccia, il gol di Retegui, improvviso, spaccava la trama, resa a senso unico dal rosso a Shaw. Mai visto gli inglesi italianeggiare in quel modo, rubando secondi come volgari borseggiatori. Parlate pure di assedio, ma di Pickford non rammento voli pindarici.

Morale della favola: sulla torta divisa in due non ci piove. La squadra di Southgate ha però sfruttato meglio le sue fette. Nulla di nuovo sotto il cielo di Napoli: alla ricerca del centravanti perduto, ci sta che vinca chi lo ha.

Il braccio della sorte

Roberto Beccantini19 marzo 2023

Al destino frega niente della mano di Allegri. Sbava per il braccio di Rabiot. Con la Sampdoria, stop e gol. Con l’Inter, controllo a monte, idem Vlahovic (manina «congrua»?), ancora il francese (di piede) e poi Kostic, gol. In entrambi i casi, il Var ci ha pensato su (addirittura 3’, a San Siro) e, alla fine, ha dato ragione agli arbitri. I dubbi restano, anche nel sottoscritto, e sono vagoni: è l’uno più uno che scatena la canea. Ci sarà prima o poi un derby d’Italia in grazia di Dio?

Ciò premesso, e non è poco, è stata una partitaccia. Nella mia griglia, l’Inter era prima, la Juventus quarta. Dunque, risultato enorme. Non c’era Di Maria, Chiesa è entrato e uscito, Inzaghino non aveva mezza Maginot (Bastioni, Skriniar), ha ruotato tutte le punte, dalla Lu-La a Dezko e Correa, con Brozovic subito e Mkhitaryan nel finale; ha attaccato molto, ma senza la fantasia del miglior Calha. Di Szczesny ricordo due parate all’inizio, su Barella, e un bouquet di uscite british, senza proiettili che potessero sfregiarne i guanti.

Madama si è difesa a catenaccio e contropiede. Compatta, concentrata, pronta a cogliere l’attimo. Rete a parte, non le sono mancate le munizioni, se non proprio le occasioni, per il raddoppio: l’amletico Soulé, lo stesso Kostic, Chiesa prima della resa. D’Ambrosio e Paredes, entrati a emergenze in corso, sono stati espulsi per reciproci vaffa, colonna sonora dell’ordalia.

Capisco l’ira funesta dell’Inter per l’episodio-clou, ma si era appena al 23’, il tempo non mancava. Sono mancati, se mai, la precisione nei passaggi e la velocità di pensiero. Per tacere di Lau-Toro: scomparso, come il Leao milanista.
Leggi tutto l’articolo…

Il fado è tratto

Roberto Beccantini17 marzo 2023

Hanno detto: la fortuna non cambia gli uomini, li smaschera. E allora, al lavoro. E’ andata benone, sulla carta. Non solo perché le nostre hanno evitato Manchester City, Real Madrid e Bayern (il mio podio virtuale), ma anche, e soprattutto, perché un quarto sarà proprio City-Bayern. E un altro, Real-Chelsea.

Nel dettaglio: Benfica-Inter, Milan-Napoli. Una vecchia finale (1965, gol di Jair nella palude di San Siro sotto la pancia di Costa Pereira) e un derby. La squadra di Schmidt è più forte del Porto, liquidato non senza triboli e suerte. Più forte e più bella. Le ha date alla Juventus (2-1, 4-3), ha bloccato i Messi e i Mbappé. La maledizione di Bela Guttmann dopo che non gli avevano aumentato lo stipendio («Non vincerete mai più un “tasso”») è una catena che ne imprigiona i sogni. Ha perso Darwin Nunez (al Liverpool) ed Enzo Fernandez (al Chelsea), i gol e la garra, eppure gioca, gioca sempre. Con i ramponi di Otamendi, le volate di Grimaldo, i tocchi di Joao Mario (un ex) e il fiuto di Gonçalo Ramos a gonfiare il mantello delle ambizioni.

Paradossalmente, Milan-Napoli sa di sorso di Superlega. Tra campionato e Champions, quattro sfide in totale. I derby sono sempre tormentoni, trappoloni. In classifica, dopo 26 giornate, fra Spalletti e Pioli ci sono venti punti; ma a San Siro finì «solo» 1-2, rigore di Politano, poi Giroud e, dalla panca, Simeone. Una stagione è bilancia sicura; la doppia sfida, non sempre. A maggior ragione, se lo scudetto nascesse proprio ad aprile, in quei giorni o poco dopo.

Ricapitolando, ecco i miei pronostici:

** Real Madrid 60% Chelsea 40%

** Benfica 55% Inter 45%

** Manchester City 55% Bayern 45%

** Milan 45% Napoli 55%
Leggi tutto l’articolo…