Davide e i suoi Golia

Roberto Beccantini4 marzo 2023

Sono già cinque anni. Davide Astori morì, di cuore, la notte del 4 marzo 2018 in una camera d’albergo a Udine. Ne aveva 31. Era il capitano della Fiorentina. Era un pezzo di pane che il ruolo di difensore costringeva a essere di ferro. Quando scocca il minuto 13, il numero di maglia che portava, il Franchi si ferma. Caschi il mondo. Applausi e tutti in piedi.

La ricorrenza ha coinciso con la sfilata del Milan. Da lassù, l’avrà seguita e ne avrà sorriso, fiero: 2-1 per i suoi Golia. Nella ripresa, i gol: Nico Gonzalez su rigore (netto, di Tomori su Ikoné); Jovic, di crapa, al culmine di un gran contropiede e un gran cross di Dodò, tra i migliori con Amrabat, Cabral, Igor, Nico e Terracciano; quindi Theo Hernandez, di forza, agli sgoccioli degli sgoccioli.

Partita tosta, bella vittoria: con Italiano in cattedra a disegnare calcio normale, cioè moderno, e Pioli a rincorrere il Diavolo che le aveva date alla Dea. Mancava Krunic; mancava, soprattutto, Leao. Quando c’è, lo manderesti spesso a quel paese; ma quando non c’è, uhm. Sono dettagli, come gli impegni in agenda (Sivasspor, Tottenham): ognuno ne faccia l’uso che crede.

Sino al 49’, Fiorentina al dente: padrona del ring. E Milan tristemente a rimorchio, salvato dai tuffi di Maignan e dalla spaccata di Tomori (su Bonaventura). Poi, un quarto d’ora vintage dei campioni. E qui bravo Terracciano su Giroud e Theo. Dalla panchina sono usciti Jovic e un bouquet di pesi massimi: Ibra, Origi, Bakayoko. La scossa l’ha data il «medio» serbo. Di De Ketelaere mi sovvengono tocchi vaghi: eppure giocava nel suo ruolo, da trequartista. Di Tonali e Junior Messias, ancora meno.

Era reduce da tre successi, il Milan. E dal rotondo 3-0 di Verona, la Viola. Sull’1-0, per la cronaca, il Var ha salvato Di Bello dal linciaggio. Aveva colto un mani-comio di Cabral e decretato un penalty pro Milan. Era testa, invece. Evviva il doppio arbitro.

Ci voleva un amico

Roberto Beccantini3 marzo 2023

Ci voleva un amico, parafrasando il grande Antonello. Uno come Sarri, che a Napoli ha scritto un pezzo di storia. Il comandante, ricordate?, con i suoi diciotto titolarissimi e i suoi colpi di stato. Ci voleva un amico, appunto, per arginare le tracimanti mareggiate del Napoli. Uno a zero per la Lazio, fatale e letale drop di Vecino, su sponda molle di Kvara. Vecino, garra uruguagia (avrebbe urlato Adani), la carta a sorpresa, lui e non Cataldi.

Vince sempre, il Napoli, e dunque sono le sconfitte, rare, a fare notizia. In campionato è la seconda, dopo il k.o. di San Siro con l’Inter, il 4 gennaio. Sul piano pratico non cambia nulla, i punti di vantaggio scenderanno, al massimo, da 18 a 15. E di giornate, dopo questa, ne mancheranno «solo» tredici.

La partita non è stata un’allegra sparatoria: Spalletti l’ha subìta per un tempo, salvo poi montarci sopra nella ripresa. Ma, anche in questo caso, con un pizzico di pancia piena che l’immenso e l’incenso traducevano in frenesia sterile. Avare, a essere sinceri, le emozioni: un miracolo di Di Lorenzo su sgrullata di Vecino al pronti-via, una paratona di Provedel, una traversa di Osimhen e un’altra, su punizione, di Milinkovic-Savic.

E’ stato a centrocampo che Sarri ha incartato Spalletti: con il sacrificio di Immobile (zero tiri), con il palleggio di Luis Alberto, con Marusic a destra sul georgiano, imbottigliato e, quindi, meno «bisturi» del solito. Come Lobotka e Osimhen, dal quale ormai si pretende la luna a ogni scatto (e a ogni stacco).

Per una volta, da Elmas al Cholito, la panchina non ha offerto né Aladini né lampade. Capita, di tirare il fiato: soprattutto se l’avversario ti prende alla gola. Splendida, alla fine, l’ovazione del Maradona: gli scudetti si vincono anche quando si perde. «C’era Guevara» gongola: dura l’ex, sed l’ex (Gpo dixit). E che sgasata, in zona Champions.

Da un binario di Casalpusterlengo

Roberto Beccantini28 febbraio 2023

Scrivo da un binario di Casalpusterlengo, prigioniero di un Italo fermo e di nervi mobili. E proprio per questo vi prego di non prendere per oro colato gli appunti sbirciati al tablet.

1. Juventus-Torino 4-2. Reti di Karamoh, Cuadrado, Sanabria, Danilo, Bremer e Rabiot. Non so a voi, ma a me il derby è piaciuto. Uno dei più croccanti del Duemila. Tanti errori sulle «palle inattive» (tre gol Madama, uno i granata), oh yes, ma anche emozioni, ribaltoni, una traversa per parte, molta cavalleria.

2. Immagino che daranno la colpa a Juric per non aver saputo gestire (o far gestire) il vantaggio cronologicamente doppio (0-1, 1-2) e ad Allegri per essersi fatto infinocchiare – per un tempo, almeno – dal giardiniere di una rosa più modesta. E’ sempre così. E non illudetevi: lo sarà sempre.

3. Sono sincero: Barrenechea, argentino di 21 anni, non è che abbia combinato granché, ma ho ammirato il coraggio di chi lo ha fatto titolare (in un derby, addirittura) e nei panni di un campione del mondo, Paredes, che, detto con altrettanta chiarezza, non è che sin qui avesse offerto un contributo all’altezza.

4. Come era nei polpacci, e non solo banalmente nei voti, i ritmi alti hanno espulso Di Maria dal cuore del ring.

5. I 14’ di Radonjic (60’, dentro al posto di Karamoh; 74’, fuori per far posto a Seck) sanno di bocciatura netta, plateale. Dicono che toccasse a lui occuparsi di Chiesa nell’azione del 3-2.

6. Il ritorno di Pogba, naturalmente. E, più in generale, i cambi. Lui e Chiesa. Si era sul 2-2, e per un’oretta il Toro aveva mulinato le corna. Dopodiché, raffiche di Juventus. Mancava da quasi un anno, il francese. Calma e sangue freddo: ma in Italia, se integro, può ancora alzare la voce.

Dimenticavo: ciao, Casalpusterlengo.