«Dembappé»

Roberto Beccantini30 April 2025

Sino al momento del tiro o dell’ultimo dribbling, Dembélé era un pericolo per gli avversari. Subito dopo, dal tiro in poi, lo diventava per i compagni. Troppo onda, poco surf. Oggi non più. Oggi è «Dembappé». Segna sempre. Anche con un sinistro masticato come a Londra, su assist di Kvara. Semifinali di Champions, andata: l’1-0 del Paris all’Arsenal non è ancora una sentenza, ma già la indica. Ha vinto la squadra più squadra. Hanno giocato, entrambe, senza centravanti di ruolo, supplendo con la sinfonia e la sincronia delle pedine, fossero alfieri o cavalli.

Ad Arteta mancavano fior di titolari: le punte, soprattutto, da Gabriel Jesus a Havertz. Lo ha pagato. Luis Enrique è un frate che predica un calcio in cui tutti siano tutto, lontano dalle tentazioni dei diavoli in smoking (Messi, Neymar, Mbappé). Si può vincere o perdere per eccesso di tenori, come il Real; si può vincere o perdere senza sbronzarsi di champagne, ma bevendo acqua di fonte. Alludo ai giovani: João Neves, per esempio; 60 cocuzze, comunque. E meglio, naturalmente, se hai una guardia del corpo che tiene d’occhio il panorama e le metafore. Lo chiamavano «Dollarumma»: bravo su Martinelli, bravissimo su Trossard.

Non è stata una partita da leccarsi i baffi. Ma è rimasta sempre dentro le tensioni e le emozioni, con la costola napoletana del Paris – Kvara, Fabian Ruiz – a scortare la trama. Per venti minuti, ospiti dominanti: per pressing, per presidio, per tutto. Poi «Gunners» più audaci, ma non così letali da scalfire il tabellino. Ci ha provato Bukayo Saka; e pure Merino, «nove» d’emergenza. Calibrata da Marquinhos, la difesa ha saputo nascondere le crepe emerse al Villa Park.

A tratti, il «lanciatore» dell’Arsenal era il portiere, Raya (splendido, fra parentesi, su Doué): segno che l’autostrada era diventata un sentiero. Boskov ne avrebbe sorriso.

Scott machine

Roberto Beccantini27 April 2025

Ancora lui. Sempre lui. Scott McTominay. Il bersagliere di Scozia per il quale Conte aveva addirittura cambiato modulo già all’andata, contro la Juventus, da 3-5-2 a 4-3-3, pur di imbarcarne la stazza, l’esplosivo. La doppietta a un Torello mansueto segna il sorpasso e porta il bottino, in campionato, a 11 gol: uno in più del Vidal juventino etichetta 2012-2013. Filo conduttore, l’Andonio salentino, Brontolo o Dracula a seconda delle esigenze.

Mancano quattro giornate e la classifica urla – in barba al mio pronostico estivo – Napoli 74, Inter 71. Sarebbe il quarto scudetto della storia, il secondo nelle ultime tre stagioni, dopo la grande bellezza di Spalletti e la bruttezza non meno grande della triade Garcia-Mazzarri-Calzona, quando De Laurentiis volle strafare. Senza Kvara da gennaio.

La traversa di Billing avrebbe potuto arrotondare il bottino, mai in discussione, e rigato, esclusivamente, dagli infortuni di Anguissa, Buongiorno e Lobotka. Il Napoli ha l’agenda libera, vecchia storia, mentre ai campioni, come minimo, crescono le due con il Barça.

In una settimana si è rovesciato il mondo. L’Inter ne ha perse tre, uscendo persino dalla Coppa Italia, il Napoli ha vinto a Monza e liquidato i granata; e anche in Brianza aveva deciso McTominay. Un tuttocampista di 1,90 e 88 chili, scarto del Manchester United (non proprio l’idea del secolo), un armadio mobile che vede la porta e fa sentire le ante a chiunque osi ronzargli attorno.

Canta Napoli, dunque. Con i cori del Maradona e con la miglior difesa, marchio di fabbrica dell’allenatore. I tre titoli chez Madama, quello all’Inter: edificati, sempre, sul fortino più blindato. Non è finita, certo. Ma tre punti di vantaggio sono un tesoro che permette di sognare a occhi aperti.

Sbraccio di ferro

Roberto Beccantini27 April 2025

Mi metto nei panni di «Caronte» Tudor. Gli han detto: prendi ‘ste anime smorte e portale da una riva all’altra dell’Ade; e se mai fosse Champions, meglio. Ma come potrà mai essere Champions, o un’Europa qualsiasi, se persino Yildiz dà di fuori e, agli sgoccioli del primo tempo, si fa cacciare – via Var – per una sbracciata rancorosa a Bianco?

Stava vincendo per 2-0, Madama, grazie a un sinistro filante di Nico e a un piatto destro di Kolo Muani. E comunque, subito dopo l’1-0, Kelly aveva accompagnato Dany Mota in area, mano nella mano, rischiando il penalty. Per dire: c’erano una volta i picnic allo Stadium.

La fortuna del povero Igor è stata l’avversario. Il Monza. Rimaneggiato, solitario y final. Gli opliti di Nesta hanno cinto d’assedio Veiga e c. Un assedio, a essere sinceri, molto «educato», con la cipria di tanti cross e il gel di troppi passaggetti. Ironia della sorte, è stato Nico, pizzicato da Turati, a sfiorare il gol più di quanto non fosse riuscito ai brianzoli. Pur in dieci si poteva difendere, come dicono a Coverciano, «un po’ più alti», alzando leggermente il baricentro? Non lo escludo, ma non è successo. Tutti indietro a fare massa. Seguivo Cambiaso: possibile che l’idea del City lo abbia trasformato e sfigurato in termini così plateali?

I migliori: Locatelli, Nico e, a sprazzi, Kolo Muani. Il turco mancherà a Bologna e a Roma, con la Lazio. Il 4 maggio compie 20 anni, ha chiesto scusa al popolo, era e rimane l’unico concessionario di fantasia alla Continassa. Già erano «dazi» amari prima, figuriamoci adesso.