L’angolo custode

Roberto Beccantini10 February 2025

Da Fiorentina-Inter 3-0 a Inter-Fiorentina 2-1 non passano che quattro giorni e un romanzo di storie tese. L’angolo dal quale scaturisce l’autogol di Pongracic, pressato da Lautaro: non c’era e il protocollo di Lissone non poteva intervenire. Il mani-comio di Darmian: il Var precetta La Penna e La Penna lo converte nel rigore trasformato da Mandragora. Di normale c’è solo la zuccatina di Arnautovic, al primo squillo in campionato, su cross (di destro) di Carlos Augusto e complice un De Gea troppo incollato al gesso della porta.

Non poco e non male, a naso. Più l’isteria di Inzaghino, l’elettricità di Palladino e un rodeo che i campioni, bramosi di riscatto, cavalcano per mezz’ora a tutta birra: palo scheggiato da Carlos Augusto, traversa del capitano, rock and ball. La Viola aveva battezzato la strategia del Franchi: catenaccio e contropiede. Ma, al rientro, nonno Acerbi ha disarmato Nembo Kean e Barella, pastore tarantolato, ha trascinato il gregge. L’infortunio di Thuram sguinzaglia Arnautovic: una staffetta che il destino aveva quasi sempre bocciato. Non stavolta.

Alla distanza, lo scarto e i cambi (Fagioli, in particolare) hanno spinto gli ospiti fuori dal guscio. Era l’ora. Ma non ricordo tiri o parate di Sommer capaci di titillare il tabellino. Pure Inzaghino ha pescato in panchina (benino Zielinski), salvo rinculare negli ultimi 20’, secondo prassi, e profittare dei cross sbucciati da Zaniolo.

Morale: Napoli 55, Inter 54, Atalanta 50. Mancano quattordici giornate. Il mio borsino: Inter 40%, Napoli 35%, Atalanta 25%. Nel caso in cui due squadre arrivassero a pari punti, sarebbe spareggio in campo neutro. Lo ricordo, così, per arieggiare la noia che, senza Goeba di mezzo, inghiottirà gli episodi di San Siro.

Due botte di Kolo

Roberto Beccantini7 February 2025

Non meritava di perdere, il Como. Né, a maggior ragione, la Juventus di vincere. Eppure: 1-2. Come? Due botte di Kolo (Muani). Al 34’: di corsa, di fisico, di tiro (gran destro). All’89’: su rigore, dopo che Butez, in uscita, aveva travolto Gatti. In mezzo, le idee di Fabregas. Per un’ora, almeno, sino a quando – come capita spesso – la squadra ha cominciato a flettere.

Cinque gol in tre partite, lo scarto del Paris. Attorno, Vlahovic fisso in panca e il deserto. Tranne Di Gregorio, autore di quattro parate (notevoli la prima e la terza, su Nico Paz; normali la seconda, su Da Cunha, e la quarta, su Strefezza). Dal momento che un mani-comio di Gatti, spalla a spalla con Dubickas, aveva agitato il loggione (ma non il Var, strano) e, agli sgoccioli degli sgoccioli, Dossena aveva scheggiato la traversa, bé, ci siamo capiti.

Il pareggio del Como risale al 45’15″: Flopmeiners si lasciava sfilare la palla da Cutrone, invece di rinviarla, e dal cross «nasceva» la zuccata di Assane Diao, classe 2005, un giovanotto da tenere d’occhio (come il Nico del lago). E Thiago? Schierava, per la seconda volta, la stessa formazione, quasi un Gronchi rosa, ma sembrava che fossero arrivati tutti ieri, sia il capo sia i dipendenti. Una montagna di errori tecnici, un atteggiamento da provinciale piccola, il tiro come sterco del diavolo. E quell’anima, così vagante da sfuggire alla cronaca, figuriamoci alla storia. Tra chi inizia e chi entra non si sa più cosa pensare. C’era Veiga, ha debuttato Kelly: in attesa di Kalulu, altro, e altri, il convento non passa. Ma dal momento che, in generale, è in atto il recupero dei titolari, gli alibi calano.

Due vittorie di fila non crepitavano da novembre (Udinese, Toro). Si sapeva che il Como sarebbe stato un osso duro. Si sperava che la Juventus tornasse quella di Bergamo. Non si può avere tutto, evidentemente.

Firenze stanotte sei bella…

Roberto Beccantini6 February 2025

Alzi la mano chi. La Fiorentina più bella, l’Inter più brutta. Tre a zero: 60’, Ranieri (di sinistro, al volo, su schema da corner); 68’, Kean (di testa, su cross di Dodò); 90’, ancora Kean, 15 gol in totale (su erroraccio di Dimarco). E già nel primo tempo, le occasioni più ghiotte erano capitate alla zucca di Kean (parata di Sommer) e Dodò, imbeccato da Moise (destro a lato).

Per essere Franchi. E non solo. Era il seguito della partita sospesa, la sera del 1° dicembre, per il cuore «matto» di Bove. Si è ripreso, alla «spagnola», dal minuto dello stop, il 17’. Non so come sia successo, ma è successo. Non perdevano, i campioni, dal derby d’andata (22 settembre). Inzaghi poteva ruotare la rosa: e, difatti, un po’ l’ha ruotata. Palladino, lui, era in emergenza piena, senza gli elementi ceduti al mercato di gennaio, senza i rinforzi e senza, last but not least, Gudmundsson (tonsillite).
Questo, forse, spiega il diverso atteggiamento: Fiorentina sul pezzo, sempre e con tutti (Ranieri addosso a Lautaro, per esempio, e Comuzzo alle costole di Mkhitaryan); Inter padrona del palleggio (78%) e di nient’altro. Lenta di gambe e di testa, greve in Calhanoglu e Frattesi, attesa al varco e – sistematicamente, implacabilmente – giocata e soggiogata.

Tutti da sette, gli opliti di Commisso, con Kean e Ranieri da 8. Tutti, paradossalmente, meno uno: De Gea, il portiere. Mai impegnato. Se non da Dimarco, da una cinquantina di metri. E testimone di un unico brivido agli sgoccioli (Arnautovic). Perché sì, Inzaghino ci aveva provato anche con il tridente. Botta pesantissima. Inattesa e strameritata. L’Inter rimane, così, a tre punti dal Napoli, mentre la Viola pizzica la Lazio al quarto posto, in piena corsa Champions, spedendo la Juventus al sesto.

Da due punti in sei gare a tre vittorie su tre, tra cui Lazio fuori e Inter in casa. Scalpi nobili. Il calcio è (anche) questo. Però, ripeto, Fiorentina tre Inter zero. E il resto, Conte.