La spada nella roccia

Roberto Beccantini17 December 2016

E’ stata una partita di grande fisicità, all’inglese, risolta da una prodezza. Il gol di Higuain, bellissimo, appartiene al repertorio dell’ex grasso-che-cola. Juventus e Roma se le sono date di santa ragione, rubandosi le fette della torta. Primi quindici minuti: solo Juventus. Poi pilota automatico. Primi venti minuti della ripresa, solo Juventus, con Szczesny che sfila il 2-0 a Sturaro. Poi, per un quarto d’ora, solo Roma (calci d’angolo, mischie, brividi). Quindi, dopo l’ingresso di Dybala, più Juventus che Roma, con Szczesny (ancora) a salvare su Sturaro (ancora).

Morale: Allegri le ha azzeccate tutte, staffette comprese (Pjanic-Cuadrado e Higuain-Dybala), Spalletti no. Gerson è stato un azzardo, non meno del recupero forzato di Salah. La Juventus è la Juventus, nessuno azzanna le partite come lei (sette gol nel primo quarto d’ora, record) e quando sembra che le scappino via, ecco Rugani, ecco Sturaro, ecco il cemento del gruppo.

Venticinquesima vittoria consecutiva in casa. E, per la Roma, sesto k.o. allo Stadium: non possono essere solo banali coincidenze, e difatti non lo sono. Non è bastato un guerriero come Nainggolan, non è bastato l’ingresso di El Shaarawy (al posto di De Rossi), non è stato sufficiente buttare il cuore oltre l’ostacolo, letteralmente. Troppo alto, l’ostacolo. Da Lichtsteiner «portiere» (sua la parata più complicata, su Manolas) a Mandzukic, ad Alex Sandro, concessionario della fascia sinistra. Il migliore della Roma? Szczesny, e già questo spiega molto. Tra i peggiori, invece, Strootman.

Le cadenze salgariane si sono inghiottite il duello tra Higuain e Dzeko. Un gol, e che gol, contro modiche sponde e zero tiri. La partita si può leggere anche così, ma sarebbe fare torto allo «sturm und drang» dell’ordalia.

Più Allegri di Sarri

Roberto Beccantini12 December 2016

Porto-Juventus fu la finale di Coppa delle Coppe 1984, a Basilea. E fu anche la partita rinviata dall’Uefa dopo l’attacco agli Usa dell’11 settembre 2001: si recuperò in ottobre e finì 0-0. Nei play off ha eliminato la Roma: 1-1 in casa, 3-0 all’Olimpico. Nel girone, si è piazzato dietro il Leicester, demolito per 5-0.

Il calcio portoghese è campione d’Europa e, dunque, va preso con le molle. Inoltre, da qui a metà febbraio manca una vita, e molto potrà succedere. Tutto ciò premesso, non si può non riconoscere alla Juventus i favori del pronostico. Soprattutto, se saprà crescere attorno a Dybala come ha dimostrato nella coda del derby.

Gli ottavi di Champions fissano, per tradizione, il passaggio dalla fase a gironi all’eliminazione diretta. Tutta un’altra cosa: e, spesso, tutta un’altra storia. E’ andata peggio al Napoli. Il Real è sempre il Real, anche se gli mancherà Bale, l’ultimo «Rambo». Il quarto pallone d’oro a Cristiano Ronaldo, la «zona Ramos» non meno suggestiva della «zona Cesarini», un allenatore come Zidane: sono i campioni in carica, i blancos, e non perdono da 35 partite.

Il Napoli ha un gioco verticale, rapido, che può mettere in crisi chiunque. Anche il Real. Per scalare la montagna, dovrà dare il massimo. Il recupero di Milik si annuncia prezioso. Real-Napoli andò in onda ai tempi di Maradona. Stagione 1987-’88, primo round. Al Bernabeu, squalificato, si giocò a porte chiuse: 2-0. Al San Paolo, strapieno, l’avvoltoio (Butragueno) replicò a Francini: 1-1 e buona notte ai suonatori.

Questo per concludere, il mio borsino: Manchester City 60% Monaco 40%; Real Madrid 60% Napoli 40%; Benfica 45% Borussia Dortmund 55%; Bayern 51% Arsenal 49%; Porto 45% Juventus 55%; Bayer Leverkusen 45% Atletico Madrid 55%; Paris Saint-Germain 30% Barcellona 70%; Siviglia 55% Leicester 45%.

La «crisi» di Higuain

Roberto Beccantini11 December 2016

Belotti uno, Higuain due. Il derby è tutto qui, nella cesura del tabellino prima ancora che nell’equilibrio dell’ordalia (nel primo tempo, meglio la Juventus; nel secondo, il Toro), anche se il 3-1 propiziato da Dybala e firmato da Pjanic appartiene alla panchina di Allegri: e, dunque, al tesoro della società.

Un attimo prima del raddoppio, ripeto: un attimo, Mihajlovic aveva puntato tutte le fiches alla roulette dei cambi: Boye e Martinez al fianco di Belotti e Ljajic. Quattro punte, alla Mourinho. Gli è andata male. E’ andata meglio ad Allegri, con Dybala al posto del solito, ciclopico, Mandzukic e Pjanic al posto di Cuadrado.

E’ stato un derby combattuto, con i duellanti vicini ogni volta che il Toro pressava, anche se poi, alla fine, sono proprio queste le partite che la Juventus preferisce: aspre, complicate. Belotti è già, nel suo genere, un piccolo Higuain. Penso al modo in cui recita il ruolo, in esclusiva funzione della squadra. Higuain, invece, è Higuain. Lo avevo lasciato schiacciato da Mandzukic, lo ritrovo padrone dell’area, tre occasioni due gol. Il detonatore della rimonta. A buon intenditor (intenditor?).

Con lui, Dybala. Era senza fantasia, la Juventus. L’ha portata. Vi raccomando l’azione del terzo gol. Il Toro le ha provate tutte, dalle incursioni di Zappacosta e Barreca alla libertà di Ljajic (suo l’ultimo brivido, al 73’, con un gran destro a giro). Ricordo un paio di parate di Hart; di Buffon, invece, solo qualche uscita (se mai, una «murata» di Mandzukic su sventola di Benassi).

Le tre sconfitte a referto, la capolista le aveva sempre incassate dopo la Champions. Il Toro veniva dopo la Dinamo, un impegno un po’ così. Su entrambi i fronti, è mancata la differenza dell’ultimo passaggio. E allora ci ha pensato Higuain. L’hombre del partido.