A luci rosse

Roberto Beccantini17 settembre 2024

Nel salto dalle locandine al campo ci vorrebbe un materasso. O un Venezia. Se no può finire come stasera, Milan-Liverpool 1-3, e il risultato è bugiardo, bugiardissimo. Non c’è stata partita, soprattutto nel primo tempo. Nonostante il gol di Pulisic, in contropiede. Era il 3’. Era. Da lì, solo Luna rossa (anche se in nero). Due traverse di Salah, le craniate di Konaté e Van Dijk, da punizione e da corner, gli sgorbi di Diogo Jota, gegenpressing furibondo e, non appena il Diavolo si allungava, giù botte, giù botti.

Si parlerà di Fonseca, tatticamente imbalsamato, e di Maignan. Pluri-infortunato, da 7 fra i pali, da 4 in uscita. Andava sostituito prima? Probabilmente. Sarebbe cambiato qualcosa? Non credo. Torriani, classe 2005, il suo l’ha fatto e sulla transizione Gakpo-Szoboszlai non ha colpe. Colpe, e non lievi, le hanno Leao (a parte il palo del 95’), il peggiore; Theo, briciole; Loftus-Cheek, manco quelle (per il ruolo?); Pulisic, scomparso dopo 45’; Morata, Reijnders, gente che avrebbe dovuto garantire un minimo di profondità, di cazzimma; Pavlovic e Tomori, sempre alla mercé. Mi tengo gli spiccioli di Abraham. Hombre vertical, almeno lui.

Nessun dubbio che i Reds siano più forti. E lo sono stati. Ma in maniera addirittura scolastica, troppo comoda. Gravenberch, Szoboszlai e MacAllister si sono limitati a cantare, dal momento che la croce la portavano gli avversari: scialbi, pavidi, mai reattivi.

Il Liverpool volava, il Milan arrancava. C’è stata gloria persino per Chiesa. Slot è stato furbo, costringendo i rivali a bazzicare a destra, lontano da Leao. O è stato fesso Fonseca a caderci o a volerlo? Leao: grande con i piccoli, piccolo con i grandi. In generale, manca equilibrio, come con l’ultimo Pioli, manca personalità. I fischi del popolo hanno scortato e suggellato la resa. E domenica sera c’è il derby.

L’acuto, poi il coro

Roberto Beccantini17 settembre 2024

L’acuto del singolo e poi l’orchestra. Non credo che ci sia nulla di male. Era la prima della nuova Champions ed era, per Madama, un ritorno. Da qui un approccio timido, il Psv incerottato e fragile, molto fragile, a palleggiare nella di lei metà campo, tra strappetti (Bakayoko) e tralicci (De Jong). Del Thiaghismo affiorava poco: succede, quando devi cambiare libro (e non semplicemente pagina) e si studia giocando, o si gioca studiando, visto che il mercato, sì, insomma, eccetera eccetera.

Improvviso, l’arcobaleno di Yildiz. Un destro delpieresco. A giro, così angolato da sbaciucchiare il palo. Cambiaso che confonde i batavi, il turco che ne approfitta. Lesto, preciso. Ecco. Si scuote, la Juventus. Nico a destra, Koop sul centro-sinistra, area cicciosa e non più scheletrica. E McKennie. Un vecchio catorcio nascosto in garage, offerto a ogni genere di cliente, e sdoganato al posto di Douglas Luiz. Saranno stati gli allenamenti. Sarà stato boh. Morale: due occasioni, il portiere gli rintuzza la prima e si arrende alla seconda, propiziata da un blitz di Nico Gonzalez e un simil velo di Vlahovic, sui cui piedi non tramonterà mai un «porca vacca».

Doppietta in sei minuti, dal 21’ al 27’. E, in avvio di ripresa, il terzo di Nico, su palla recuperata da Koop e assist del serbo (!). E’ il 52’: da questo momento, gestione aziendale del gruzzolo fino al pisolo sul 3-1 di Saibari (giusto al 93’). Nel mezzo, tiki-taka dal basso, un po’ di testa al Napoli, ci mancherebbe, e la volontà social-popolare di far segnare Vlahovic. Un’impresa: nonostante gli aiutoni di Koop e Fagioli.

Ricapitolando: bene le fasce (a destra Kalulu-Nico, di là Cambiaso-Yildiz); in progresso l’ex Dea e l’ex Viola. Sul podio più alto, Yildiz. Anche perché, come scriveva Pasolini, «ogni gol è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice».

Testa di Conte

Roberto Beccantini15 settembre 2024

E così, alla quarta, in testa c’è il Napoli. Tre vittorie di fila dopo lo 0-3 di Verona. Conte Dracula continua a vampirizzare i suoi, felicissimi di offrirgli collo e garretti. Gli dei lo hanno baciato con il Parma e, per una settantina di minuti, pure a Cagliari: tra autogol di Mina (passato agli atti come rete di Di Lorenzo), paratone di Meret, traversa di Marin, varie ed eventuali. Certo, dal tabellino esce un 4-0 che fa a pugni con i se e i ma della cronaca, però il calcio è bello proprio per questo: va a letto «solo» con il risultato.

Antonio non ha l’Europa fra i piedi. Non l’aveva nemmeno il primo anno a Torino, con la Juventus, e sappiamo come andò. E’ un Napoli, il suo, che sa «sporcarsi le mani»: e se non lo mandi giù, come potevano Pecchia e Nicola, sono dolori. E allora: Kvara (libero d’attacco), su assist di Lukaku; Lukaku, su assist di Kvara; Buongiorno di testa. Il belga, l’ex granata: viva il mercato.

Due trasferte due pari, l’Inter. A Marassi, con il Genoa, sbagliò l’approccio; a Monza, ha sbagliato partita. Molle, lenta, strozzata dallo stesso laccio teso al collo dei rivali. Champions ci cova. Mercoledì il City, a Manchester. Diranno, dopo aver detto che avendo due squadre sarebbe stato un delitto non farlo, che Inzaghino non avrebbe dovuto fare turnover. Dopo, sempre dopo. Al posto di Barella, per esempio, c’era Frattesi, invocato da logge e loggioni. E’ stato il peggiore in campo. Hanno chiuso, i campioni, con Lautaro (ancora giù) e Thuram in panca, Zielinski (al debutto), Taremi, Arnautovic e Correa (!) all’arrembaggio. Hanno risolto i cambi: Dany Mota di crapa, Dumfries in scivolata.

Il Monza di Nesta si è difeso con ordine. Pairetto gli ha tolto un «vantaggio» (Pessina, al 95’) dal quale chissà cosa sarebbe uscito. Mi sono piaciuti Daniel Maldini e Dimarco. Sabato Juventus-Napoli (con Motta post Psv e Conte post sergente di «Ufficiale e gentiluomo»); domenica Inter-Milan. Allons enfants.