Dal Circo minimo all’Alta velocità

Roberto Beccantini25 febbraio 2024

Dal Circo Max-imo al Circo Minimo il calcio resta tromba o tomba a seconda delle pance. Prendete Juventus-Frosinone due pari sino al 95’. Poi un angolo; poi un mischione; poi Monterisi, appena entrato per «fare massa», che si perde Rugani; poi Rugani, proprio lui, che la infila tra le gambe di Cerofolini.

La memoria del tifoso corre, giuliva, alle reti di Cambiaso e Gatti che, sempre agli sgoccioli degli sgoccioli, fissarono i successi con l’Hellas e a Monza. Chi, viceversa, non si ciba esclusivamente di risultati (per alzata di mano, quasi tutti; in cabina, a tendina tirata, quasi nessuno) non può non fustigare l’ennesima esibizione senza arte né parte. C’è stato un periodo in cui la squadra di Di Francesco sembrava un piccolo «qualcosa» (non so cosa, ma qualcosa), mentre Madama una signora che, costretta a portarsi dietro la schiscetta, masticava infastidita dal ronzio degli avversari. Cheddira (mai a segno su azione) pareva Zorro; Brescianini (un gran gol e non solo) schizzava di qua e di là manco fosse De Bruyne. Meglio di Soulé, nettamente.

E Allegri? 3-5-2 e più non dimandare. Al 4-3-3 penserà il successore, se mai ce ne sarà uno. Per il resto, la solita Juventus: di passo (eppure è fuori dall’Europa), facilmente leggibile, con Chiesa e il mister ormai separati in area; con Vlahovic che ne fa due, entrambi su assist di McKennie; con Rabiot k.o. (come il texano) e la polverina di Alcaraz. C’era una volta la difesa, c’era una volta un rivolo di «giuoco». Quattro partite senza vittorie (1-1 con l’Empoli, 0-1 con l’Inter, 0-1 con l’Udinese, 2-2 a Verona), e questo brodino, questa brodaglia.

Ci voleva Dusan Vlahovic. Questo. Già quindici gol. Centravanti vero. Busta numero uno: si coglie, nella sua ascesa, anche la mano di Allegri; ripeto: anche. Busta numero due: no. Fate finta di essere a Sanremo e votate.
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Poco ma buono

Roberto Beccantini21 febbraio 2024

Due squadre malate. Il Napoli, consegnato dal «cupio dissolvi» del padrone a Calzona, scuola Sarri & Spalletti, dopo gli esoneri di Garcia e Mazzarri. Il Barcellona, aggrappato alle flebo del tiki taka che lo rese famoso con Xavi regista e fumoso, oggi, con Xavi in panca. L’1-1 è il ritratto di una partita lenta, solcata dal predominio territoriale dei catalani, dalle scosse di avversari che il tifo del Maradona (5 luglio 1984, l’epifania) ha accompagnato e sorretto negli attimi di panico.

Sulle spalle della notte sono saltati subito Joao Cançelo, De Jong e Gundogan. Tiri, sì, ma non prepotenti (di Lewandowski, di Gundogan): e comunque, Meret. Verso la mezz’ora, i primi spiragli. Ma, appunto spiragli. Kvara fisso a sinistra girava in folle; Osimhen, al rientro, si sbatteva tra armadi. Lobotka, indietro tutta. Le bollicine di Politano, almeno quelle.

Nella ripresa, senza che il ritmo fosse diventato monsone, i gol. Di Lewandowski, controllo arresto e destro, su palla di Pedri. Di Osimhen, su tocco di Anguissa, con Martinez «mangiato» nel corpo a corpo. In mezzo, i cambi. Uno, fortissimo: Lindstrom al posto di Kvara: fin lì da 5, ma toglierlo non è mai comodo, prigioniero come sarai del risultato. Chi scrive, lo preferisce «libero» d’attacco e non ala mancina. Gusti. In compenso, rotto il ghiaccio, non avrei richiamato il leone d’Africa. Gusti pure questi.

A un certo punto, sembrava in affanno il Napoli. Poi il Barça: e nettamente, addirittura. Alla fine, ancora il Napoli, graziato da uno sparo vagante di Gundogan. I 16 anni di Yamal sono un inno al futuro. In tre giorni Calzona non poteva fare miracoli. Un tiro un gol rimane una carezza del destino. Paradossalmente, da questo spicchio di ottavi di Champions, il Napoli esce più arzillo dei «torellanti». Non rovescio il borsino (55% a 45% Barça), ma il rinvio della sentenza al 12 marzo assomiglia proprio a un segno di vita.

Buono ma poco

Roberto Beccantini20 febbraio 2024

Con l’Atletico è sempre così. Un braccio di ferro nella giungla. Anche se adesso palleggia un po’ di più, come ha dimostrato nel primo tempo. Era l’andata degli ottavi di Champions, l’Inter andrà a Madrid con lo scudo del gol di Arnautovic. Entrato al posto di Thuram, infortunato, se n’era già mangiati un paio. E non che Lautaro fosse stato da meno. La miccia dell’episodio l’aveva accesa, a metà campo, una gaffe di Reinildo; con il capitano stranamente amletico a tu per tu con il portiere.

Uno a zero, dunque: lo stesso risultato che bastò con il Porto, la scorsa stagione. Per metà partita, pressing contro pressing, attesa contro attesa, brividi rari (e pure qui, quasi sempre sugli errori in uscita dei materassai). Alla distanza, più Inter che Atletico, più Inzaghi che Simeone: come occasioni, come pressione. Sino all’ingresso di Morata (54’), il Cholo aveva giocato senza centravanti. Dal suo ingresso, un’opportunità di Lino e una di Llorente, ma pure gli spazi per le transizioni degli avversari. Perché sì, a un certo punto l’Atletico era «tornato» vecchio.

Per una volta, dal «tridente» del centrocampo sono scesi Çalhanoglu e Mkhitaryan, mentre ha tenuto botta Barella. Sul fronte ispanico, Lino (suo lo «sparo» più pericoloso) e Witsel, tenutario del bunker, i più concreti. Nell’Inter, bene i cambi – da Dumfries a Carlos Augusto – benone De Vrij e la tenuta difensiva: Sommer, zero parate. Non che Oblak ne abbia compiute di più, ma è stata la mira – nel suo caso – a proteggerlo. San Siro è San Siro, così come il Wanda sarà il Wanda, ma l’Inter sa soffrire; e, soprattutto, colpire.

I tocchi di Griezmann non hanno aperto sentieri; e sulle palle perse, meglio il filtro della capolista che non il tiki-taka dei rivali. Nel 2024, solo vittorie: già nove, tra campionato e coppe. «Molto» sotto controllo, a naso.