Il tenore e l’orchestra

Roberto Beccantini2 novembre 2021

Non si pretende la luna, si chiede calcio: almeno un po’. E la Juventus (di Allegri, posso?) lo ha offerto, finalmente: 4-2 allo Zenit, meno sedici in campionato ma già negli ottavi di Champions. E’ la doppia vita della Signora, è lo specchio che riflette il ritratto di Dorian Gray.

Titolo: il tenore e l’orchestra. Paulo Dybala. Un palo, un gol, un assist sciupato da Morata, il peggiore, un bis-rigore trasformato grazie a un cavillo burocratico ribellatosi all’unica macchia (un «Chiellini» russo entrato in area anzitempo), la palla del poker a Morata. Libero d’attacco, di postura platiniana nella gioia, fedele ai gradi, una pedata al degrado. Musica, maestro.

L’orchestra. Il secondo tempo di Chiesa a sinistra e non più a destra: suo, il rigorino procurato; sua, la terza rete, splendida per velocità e voracità; il righello di Locatelli; le ante di De Ligt; i blitz di McKennie (che azione, che traversa!). La meglio gioventù.

Una Juventus armonica e ormonica: capace di reagire all’autogol di Bonucci e solo nel finale, dopo i cambi, di guardia bassa (parate di Szczesny, rete di Azmoun). Affiora, qua e là, la tendenza a rinculare, ambigua e pericolosa: per carità, non si può andare sempre ai cento all’ora, ma per continuare in Europa, e risalire in Italia, bisognerà sognare di riuscirci. O di limitare, comunque, le soste.

Coraggiosa e aggressiva, la formazione di Max, un 4-2-3-1 ad assetto variabile. Al di là dei moduli, contano le idee, le gambe, la fame: tutto quello che era mancato fra Sassuolo, Hellas e in altre sciagurate notti. Quattro su quattro, dunque: la Fiorentina, sabato, ci dirà se siamo di fronte alla classica rondine o a uno stormo.

Fuochi d’artificio al Gewiss Stadium. Il 2-2 è un inno all’Ego di Bergamo (Gasp)
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Napoli di lotta, Milan di governo

Roberto Beccantini31 ottobre 2021

Avanti tutta. Il Napoli di lotta, il Milan di governo. Il Napoli a Salerno, senza Osimhen e Insigne. Gol di Zielinski in mischia, al culmine di un wrestling che Fabbri molto ha tollerato prima di sfoderare i rossi come sciabole: a Kastanos e Koulibaly. Battaglia, dicevo. Ha escluso il fioretto di Mertens e Lozano, ha premiato le ante di Petagna. E occhio: Ospina continua a non beccare gol. Tre in undici partite, o’ Napule. In Italia gli scudetti si vincono così. Degli ultimi dieci (9 Juventus, 1 Inter), solo Sarri se l’è preso senza la miglior difesa. La Salernitana di Colantuono è stata Ribéry e altri dieci. La salvezza non passa da queste partite. Urge recuperare il Simy di Crotone.

All’Olimpico, bel Milan. Il mio pronostico era: pareggio con gol. Ci sono stati i gol, non il pari. Uno a due. Ibra su punizione e Kessié su rigorino procurato dal ciclope from Malmoe. Pioli, che la «stampa bue» voleva sacrificare sull’altare del «professor» Rangnick, ha creato un’orchestra gradevole ed efficace, aggettivi che non sempre vanno a letto assieme. E, in trasferta, addirittura formidabile. Kjaer in difesa, Kessié e Bennacer in mezzo, Leao e mister 40 anni là davanti. Per un’ora abbondante – e fino, almeno, alla cacciata di Theo Hernandez – lezione di calcio.

Magari Rui Patricio avrebbe potuto essere più reattivo sulla punizione di Zlatan, ma la differenza era abissale. Di gioco, di velocità, di nervi saldi. Troppa nevrotica, la Roma di Mourinho, a immagine e somiglianza del suo Vate. Pigra di tendenza, salvo un paio di contropiede, e viva, generosa, solo nel finale: gol-bandiera di El Shaarawy, mischie, coriandoli di Tatarusanu. Di Zaniolo ricordo nuvole di rabbia; di Abraham, l’incessante richiesta di munizioni.

Domenica, Napoli-Verona e Milan-Inter senza Theo. Cosa loro.

Discesa libera

Roberto Beccantini30 ottobre 2021

A Verona la Juventus perdeva ai tempi di Platini e Cristiano Ronaldo, figuriamoci come avrebbe potuto cavarsela con i resti di Chiellini e gli avanzi di Allegri. Che è presa di coscienza, non presa in giro. Sono contento per Tudor, vice di Pirlo: marca a uomo (Casale su Dybala), ha trasformato Caprari e Simeone, segna un fracco di gol. Giocare contro il suo Hellas è come andare dal dentista, vedi alla voce Dea: 2-0 in un quarto d’ora, doppio Cholito, di rapina e dalla mattonella, con Bonucci a debita distanza. Come se fosse punizione, invece era un calesse.

L’obiettivo diventa la salvezza. Quattro sconfitte in undici turni, mercoledì il Sassuolo oggi al Bentegodi: la Juventus non fa più paura e ha paura di tutti. Penso al passaggio harakiri di Arthur al primo morso di pressing, sull’1-0. Allegri ha sempre delegato, in vita sua, ma se non hai campioni, occhio, il piano diventa «insostenibile». Non credo che giochino contro di lui. Penso che più di così, al momento, non sappiano o non possano fare. Tecnico compreso. Resta una domanda: possibile, ogni tanto, giocare sin dall’inizio come alla fine? E’ probabile che la Superlega abbia spinto Agnelli e la sua Camelot a trascurare gli sbalzi di rendimento già emersi con Sarri e Pirlo. Il gioco è nebbia padana, basta una spallata per cadere. Dybala è il cerino, delicato, che indica pali e traverse. Solo.

In campo va la rosa, non il giardiniere, ma c’è un limite a tutto. Se escludiamo rari sprazzi e la Champions (per ora), il desco è modesto, il piatto vuoto, lo chef avaro. La difesa fa acqua, l’attacco latita (McKennie, ancora). Sembra giù, molto giù, anche Cuadrado, il regista occulto. Che fare? Sono contrario ai cambi in corsa, in cassa non c’è un euro. Avanti così, in attesa di chiarire il mistero-Chiesa. Non prima di aver applaudito il Verona: 3-2 alla Roma, 4-1 alla Lazio, 2-1 a Madama. E il problema era Cristiano: sorride persino la giacca di Max.