Stanchi alla meta

Roberto Beccantini19 settembre 2021

Troppo bella, la Juventus del primo tempo. E troppo scarno, l’uno a zero. Subito il gran gol di Morata, su contropiede coast to coast e tocco smarcante di Dybala, poi le parate di Maignan su Morata e Dybala. Allegri aveva azzeccato tutto: 4-4-2 ad assetto variabile, con l’Omarino e Cuadrado a scambiarsi centro e destra, Bonucci incursore, un’attesa mai passiva e un pressing strano, per la classifica che corre e la squadra che cammina(va).

Al Milan mancava la ciccia di Ibra e Giroud. Di Pioli non ho capito Tomori a destra, quasi terzino. Il k.o. di Kjaer e l’ingresso di Kalulu riproponevano l’assetto canonico. Brahim Diaz guizzava fra le linee, il duello Cuadrado-Theo richiamava paragoni omerici. Il mordi e fuggi di Madama, a una velocità fin qui sconosciuta, stimolava l’ordalia. Bentancur e Locatelli contendevano il centrocampo a Kessié e Tonali.

Una partita gradevole, solcata da ribaltoni, la Juventus sorniona ma non guardona, il Milan a girarle attorno, Rafa Leao e Rebic soverchiati. Il problema della Juventus è il secondo tempo. Come a Udine, come a Napoli. Se in quei casi furono gli episodi a tenere su il tesoretto, questa volta era stato il gioco. Però bisogna darci dentro per novanta minuti. Piano piano, il Milan ha preso campo; zitti zitti, gli juventini hanno cominciato a flettere, e così i campanili di Chiellini, preferito a De Ligt, sono sembrati trafelati sos.

Se non proprio il solito Milan, calligrafico sino al limite dell’area e poi stop, tornava la solita Juventus, tirchia e vulnerabile. Uscivano Morata e Dybala, Chiesa veniva impiegato (al posto di Cuadrado) quando ormai l’ordalia si era consegnata a un wrestling leggero, confuso, il Milan a girar palla, la Juventus a vivere di briciole, di raccordi, forse di ricordi. Kulusevski alzava polvere, come Kean.
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Inter & Milan, sconfitte diverse

Roberto Beccantini15 settembre 2021

Bella, la storia di San Siro. Bellissimo, perché pazzo, il romanzo di Anfield. Sembrava ormai scritto, lo 0-0 del Meazza, frutto di un tempo a testa, il primo dell’Inter, il secondo del Real. Poi Ancelotti ha tolto Modric (36 anni) e inserito Camavinga (18). Il quale, servito da Valverde (23), ha imbeccato Rodrygo (20) che, a sua volta, ha anticipato Bastoni e freddato Handanovic. Era l’89’.

I cambi di Inzaghino non hanno pagato, quelli di Carletto sì (oltre Camavinga, anche Rodrygo). Si potrà discutere all’infinito se per un centravanti solo (Benzema) la difesa a tre sia un lusso, resta il fatto che con Conte il Real aveva vinto 2-0, con Simone 1-0. Meglio stavolta, l’Inter. Persi i lucchetti storici, Sergio Ramos e Varane, i blancos hanno un po’ ballato, e Courtois li ha tenuti su, di peso, ma Dzeko non è Lukaku (a proposito) e, dunque, la strada dei corpo a corpo non era percorribile. Skriniar, un gigante. Lautaro, più indizi che prove; Barella, troppo gregario; Brozovic, bussola egregia per metà gara. In Calhanoglu continua a essere più importante il ruolo dell’interprete: almeno per me. Nel Real, Vinicius è cresciuto alla distanza e Benzema non ha certo girato al largo.

This is Anfield. Togliergli il popolo è come rapare a zero Sansone. Adesso che è tornato, basta l’autopsia della prima mezzora per capirne la trascendenza. Il giovane Milan, privo dell’unico che avrebbe potuto scuoterlo (Ibra), per mezz’ora è stato costretto agli arresti domiciliari. Ripeto: non per scelta, per forza. Pioli o non Pioli, Coverciano o non Coverciano, scuola tardo-italianista o dolce stil novo: catenaccio. L’autogol di Tomori e il rigore parato da Maignan a Salah sembravano un bacio del destino. Solo uno a zero?

Klopp aveva rinunciato a Van Dijk, il totem difensivo, e a Mané.
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Un po’ più Allegri

Roberto Beccantini14 settembre 2021

Se ogni partita fa storia a sé, questa è la storia di un 3-0 rotondo e facile. Ma attenzione: non che a Copenaghen e dintorni, tanto per allargare il poligono dell’analisi, altre Juventus avessero vendemmiato; facile perché tale l’ha resa Madama, scrollandosi di dosso l’ammuina di Napoli. L’avversario era molto ma molto modesto, e talmente pauroso da non buttarla nemmeno in caciara. Epperò: do you remember l’Empoli?

Recuperato un pugno di titolari, Allegri ha varato un 4-4-2 ad assetto variabile, con Alex Sandro più avanti, spesso, di Dybala e Morata che attaccava la profondità. I ritmi, lenti, ne favorivano la convalescenza. E poi, parafrasando il celebre detto di papa Wojtyla («In un viale senza uscita, l’unica uscita è nel viale stesso»), in un centrocampo senza regista l’unico regista non può che trovarsi nel centrocampo stesso. Locatelli, Rabiot e Cuadrado (soprattutto) si sono alternati nel gestire in scioltezza – e, a tratti, in bellezza – coperture, strappi e rifornimenti.

A Malmoe, culla di Ibra e Anita Ekberg, un dio e una dea, i gol avrebbero potuto essere il doppio. I piedi, finalmente. E la concentrazione: zero errori (anche da parte di Szczesny, le rare volte che l’hanno disturbato), non come nelle vicinanze di Cierre, a Berna. La difesa alta degli svedesi suggeriva i lanci (di Bonucci, in particolare: preciso e deciso). Le occasioni fioccavano. Il ghiaccio lo rompeva Alex Sandro di raso-testa, su cross di Cuadrado. Poi il rigore su Morata, trasformato da un Dybala a fasi (e territori) alterni. E il tris di Morata, per me il più efficace, su tocco di Rabiot e frontale tra due sbirri.

Alla ripresa, pilota automatico, cambi-anestesia e Kean vicino al poker. Quanto possa valere, al cambio, il tesoretto di Champions lo sapremo domenica sera, contro il Milan. La squadra (della triade in testa) che, fin qui, ha giocato meglio.