Il lato B

Roberto Beccantini23 settembre 2018

Non è stata brillante come il Napoli a Torino, la Juventus, e neppure frizzante come l’Inter a Marassi. Eppure, sulla carta, aveva la trasferta più facile: Frosinone. Sono partite – e sono catenacci, soprattutto – che se non li sblocchi subito, finisci per subirne quel senso di chiuso che trasmettono. La squadra di Allegri vi ha girato attorno a un ritmo così lento che nemmeno i tesori spesi a Valencia giustificavano.

Ad Allegri, livornese, piace il basket. Ha la rosa più forte e più larga e, dunque, tra una gara e l’altra e tra un tempo e l’altro, può permettersi cambi in quantità (e di qualità) cestistica. L’equilibrio l’ha spaccato CristianVar, al quarto tentativo e una punizione sulla barriera, ma l’ordalia l’hanno orientata, se non decisa, le staffette: Bernardeschi per Bentancur e Cancelo per Cuadrado.

Bernardeschi. Al Mestalla tra i migliori, al Benito Stirpe il migliore: rete del raddoppio a parte. Calma e sangue freddo, certo, ma ha tutto per diventare il nostro De Bruyne, come Candreva prima che rallentasse la scalata. Sono attaccanti di sacrificio che sanno coprire tutto il fronte e non considerano il gol un diversivo. Per fortuna.

In compenso, resta da definire la posizione di Dybala. In un centrocampo che, al di là della composizione, sembra sempre che giochi insieme per la prima volta, il piccolo Sivori non ha mai tirato, se non da fermo, e offerto rari scampoli di un repertorio che non può essere così dimagrito, al di là delle fisime del mister e al di qua del Cristianesimo. Si dia una mossa.

Cinque partite, cinque vittorie: il «normale» che coincide con il massimo. Mercoledì il Bologna, sabato il Napoli. Non scherzo: un premio per chi indovina lo schema di Ancelotti e la posizione di Insigne.

Con il rosso si passa

Roberto Beccantini19 settembre 2018

Con il rosso si passa, comunque. Dico subito che l’espulsione di Cristiano, la prima delle sue Champions, mi è parsa oggettivamente non giustificata, al di là del confronto ravvicinato con Murillo. In assenza di Var, Brych si è fidato della tiratina di capelli suggeritagli dal giudice di porta. Mah. Aggiungo anche che la Juventus stava dominando, e solo per colpa della mira di Mandzukic, di Khedira, di Matuidi, oltre che per i riflessi di Neto, non aveva già spaccato l’equilibrio.

Il Mestalla è il Mestalla, una polveriera, ma se il Valencia è 17° nella Liga e deve ancora vincerne una (tre pari, una sconfitta), una ragione ci sarà. Si è visto. Allegri ha dovuto «inventarsi» una delle partite a lui più care, tutta Chiellini e Bernardeschi, In dieci contro undici, la sua Juventus aveva vinto anche a Lione. Questione di carattere, di mutuo soccorso.

La rabbia e l’uscita di Cristiano avrebbero potuto inquinare la reazione. C’è stata, invece, ed è stata all’altezza. Nella notte degli episodi, sono stati i rigori a solcarla. Brych ne ha fischiati due per Madama, figli «anche» della spettinatina di cui sopra, trasformati entrambi da Pjanic. Il primo, procurato da Perjo su Cancelo in chiusura di tempo; il secondo, di Murillo (toh) su Bonucci in avvio di ripresa. Marcelino ha buttato dentro punte su punte, ma i senzaCristiano hanno concesso ai suoi esclusivamente tiri da fuori; l’unico dentro l’area gliel’ha offerto il pessimo Brych, agli sgoccioli degli sgoccioli, complice una sbracciata di Rugani, e a ogni buon conto Szczesny l’ha parato a Parejo.

Sarebbe stata una bella partita, forse. Non lo è stata per i motivi che sappiamo. Ma sappiamo anche che la Juventus, quando vuole, sa essere di ferro. Con o senza il suo marziano. Era una risposta che mancava. Non è tutto, per carità. Ma neppure poco.

I titoli in coda

Roberto Beccantini19 settembre 2018

La Champions fa subito un prigioniero, il Napoli, e ne libera un altro, l’Inter. Il Tottenham stava vincendo grazie a un gollonzo di Eriksen, scarto meritato più da quell’episodio in poi (quando ci ha pensato Handanovic a evitare il patatrac) che non in precedenza. L’Inter era confusa, sterile, quasi mai schiava, quasi mai padrona. I 65 mila del Meazza non sapevano più cosa seguire: se il cuore o la pancia.

Improvvisamente Icardi. Minuto 85: destro filante, bellissimo, dalla lunetta. Icardi, fin lì periferia della periferia.

Non più improvvisamente Vecino. Minuto 92: di testa, in mischia. Icardi, Vecino: gli uomini che avevano rovesciato la Lazio nello «spareggio» dell’Olimpico.

Il calcio non finisce mai anche quando sembra che lo sia. Soprattutto se di mezzo c’è l’Inter, la cui follia avrebbe di sicuro incuriosito e ispirato Erasmo. Gli Spurs, in compenso, si sono letteralmente sciolti. Tramortiti e impauriti dal pareggio, in balia di un avversario che non riuscivano più a trattare da nano, gigante com’era diventato. Eppure, secondo Gianni Brera, gli inglesi vinsero la guerra contro i tedeschi proprio perché furono così stupidi da non capire che l’avevano persa. Continuarono a combattere e la vinsero. Come ha fatto l’Inter, coma non ha fatto il Tottenham. E così, immagino, Spalletti sarà elevato a genio tripallico e Pochettino retrocesso a mister apallico.

Da San Siro al Marakana. Elogio del catenaccio, potrei chiosare. Agli ordini del superbo Rodic, la Stella ne ha fatto largo impiego. Le è andata bene (traversa di Insigne), ma il Napoli – un po’ lento e impreciso nell’ultimo passaggio – l’ha aiutata. Ancelotti aveva piazzato Allan davanti alla difesa, Insigne alla Dybala, lanciato Fabian Ruiz. Nulla di clamorosamente sbagliato, nulla di clamorosamente efficace.