Quei confini

Roberto Beccantini1 settembre 2018

Tra pesi massimi e pesi medi finisce spesso così: come a Verona, come a Parma. Il problema si porrà quando sul ring saliranno avversari della stessa stazza. Un gol lampo al Bentegodi (Khedira), un altro ancora più lampo al Tardini (Mandzukic). Ecco: proprio sul più facile, la Juventus è andata al tappeto, e con il Parma – per un tempo – ha rischiato addirittura l’osso del collo. Poi Allegri ha aggiustato l’harem e Matuidi fissato il risultato.

Tre partite, nove punti e Cristiano zero gol. I topi d’archivio si leccano baffi. Cercavi il marziano ed è uscito Gervinho, bel gol e, finché le trecce hanno retto, molto altro. Cristiano ci ha provato comunque e dovunque, ma i numeri sono una cosa, la mira un’altra. Per ora.

Il Parma di D’Aversa ha retto per metà partita: traversa a parte, ho apprezzato il fervore di Stulac, classe 1994. Come ho apprezzato il lavoro di Mandzukic, un traliccio la cui alta fisicità ha fornito un gol (complice un pisolo difensivo) e un assist di tacco. L’intesa con CR7 procede: nessuno nasce imparato.

Il mantra del «siamo appena alla terza» vale per tutti, anche per la Juventus. Magari, nei panni di Allegri eviterei di ripetere che basta vincere, c’è sempre il rischio che qualche dipendente lo prenda alla lettera: penso a Khedira, al Cuadrado terzino.

Le mosse che tracciano i confini, sono vaghe. Prendete il Di Francesco di San Siro: vogliamo parlare della Roma del primo tempo? Dallo spartito agli interpreti: un disastro. Nel Milan, viceversa, la palla-dentro di Higuain per Cutrone è stata un tocco d’alta scuola. E, sempre a proposito di schemi, nell’Inter di Bologna torna Nainggolan e chi orienta la sfida? Nainggolan.

Ultimo argomento, Dybala. Un pugno di minuti. La stagione è lunga come la panchina. O, versione soft, la panchina è lunga come la stagione.

Torni e ritorni

Roberto Beccantini31 agosto 2018

Non escludo che il campo poi li demolisca, ma sulla carta sono sorteggi facilmente leggibili. E’ andata benone alla Roma, bene alla Juventus, male a Napoli e Inter, l’unica delle nostre in quarta fascia (e, dunque, soggetta alle imboscate più insidiose).

Mourinho versus Allegri è già tutto un ribollir di pulpiti. Lo Special-one contro il Finalist-two, doctor Por qué e mister Fiuu, sposati in gran segreto dalla massima di Fred Perry, pace all’anima sua: «Mostratemi uno che sappia accettare con classe una sconfitta, e vi mostrerò uno che non vincerà mai».

E poi: CR7 torna a Old Trafford, Pogba torna allo Stadium, Cavani torna a Napoli, Messi torna a San Siro, Ancelotti torna a Parigi, la Roma torna al Bernabeu.

Scritto, non per banale piaggeria, che sarà dura anche per i nostri avversari, e che la fuga di Cristiano da Modric e dalla buona creanza mi ha ricordato Oscar Wilde («Spiacente, Milady, non poter onorare vostro invito per impegno preso successivamente»), ecco le mie percentuali di qualificazione.

Gruppo A: Atletico Madrid 70%, Borussia Dortmund 60%, Monaco 50%, Bruges 20%.

Gruppo B: Barcellona 75%, Tottenham 65%, Inter 50%, Psv 10%.

Gruppo C: Liverpool 70%, Paris Saint-Germain 60%, Napoli 55%, Stella Rossa 15%.

Gruppo D: Schalke 60%, Porto 55%, Lokomotiv Mosca 45%, Galatasaray 40%.

Gruppo E: Bayern 80%, Ajax 60%, Benfica 50%, Aek Atene 10%.

Gruppo F: Manchester City 90%, Hoffenheim 50%, Lione 35%, Shakhtar Donetsk 25%.

Gruppo G: Real Madrid 85%, Roma 75%, Cska Mosca 30%, Viktoria Plzen 10%.

Gruppo H: Juventus 80%, Manchester United 70%, Valencia 40%, Young Boys 10%.

Caccia al tesoro

Roberto Beccantini25 agosto 2018

Caccia al tesoro. Caccia del tesoro. Di debutto in debutto, dalla prima ufficiale di Verona alla prima casalinga la Juventus e Cristiano Ronaldo continuano ad annusarsi, a cercarsi, scortati all’altare dalla prudenza e la malizia che accompagnano la filosofia di monsignor Allegri, un allenatore che piace più ai giornalisti (non tutti) che ai tifosi (non pochi).

Al Bentegodi, contro il Chievo, ci furono una partenza sprint, un calo da specchio-delle-mie-brame e una coda da sturm und drang. Con la Lazio hanno risolto due gol, uno per tempo: il primo di Pjanic, il secondo di Mandzukic (servito generosamente e casualmente dal tacco di Cristiano). Hanno vinto i più forti, i più esperti: chi si può permettere Douglas Costa e Dybala in panchina. Immobile ha retto un tempo, poi Bonucci e Chiellini l’hanno consegnato alle docce. Non mi hanno entusiasmato le suole di Milinkovic-Savic, mentre Khedira, già in gol al Bentegodi, ha colpito un palo: non se ne può più.

Con Mandzukic alla Benzema, l’extraterrestre s’imboscava a sinistra e da lì filava verso il cuore dell’area. Il gol l’ha sfiorato nella ripresa, con un missile dal limite. I primi applausi, se non ricordo male, li aveva però strappati arretrando in difesa, a snellire il traffico, per il legittimo orgoglio di colui che considera il calcio libertà (e non bellezza, o non sempre bellezza, come Arrighetto Sacchi).

Fuor di metafore e di battute, è stata una Juventus che il richiamo della foresta (cassa di risparmio) ha spinto a una gestione sabauda della pratica, anche perché le scottature della scorsa stagione, in Supercoppa e proprio alla Stadium, qualche cicatrice l’avevano distribuita. Alla Lazio, in fin dei conti, non sono stati concessi che un paio di tiri (Lulic, Luis Alberto) e un’incornata di Parolo. Il Cristianesimo è fede, non tattica.