Caro, vecchio catenaccio

Roberto Beccantini2 dicembre 2017

E’ stata una di quelle partite che mi hanno riportato alle letture della pubertà, quando il catenaccio sembrava una metafora della vita e il contropiede una fuga «verso» e non «da». Allegri, Sarri: il grande incartatore ha, così, inflitto la prima sconfitta al grande incantatore. Dubito che il livello tecnico sia piaciuto all’estero. Grovigli del genere vanno letti con il vocabolario italianista, che ha sempre privilegiato l’organizzazione all’improvvisazione, la fase difensiva agli sbuffi offensivi. Sono film di Antonioni, non western.

Il gol di Higuain, in campo con un tutore alla mano sinistra, è la sintesi di una straordinaria staffetta da area ad area: Douglas Costa, Dybala, il Pipita. Né la Juventus né il Napoli vi arrivavano al massimo. L’ordalia, molto corretta, ci ha restituito la Juventus versione Bbc, quando neppure un sospiro riusciva a passare per la cruna del suo ago. Allegri se l’è giocata come la scorsa stagione: partenza a testa alta, gol-lampo (da Khedira a Higuain), poi muri semoventi, campanili, «densità in area e dintorni» (vi piace?), De Sciglio e Asamoah molto stretti al centro, a costo di sguarnire le corsie, Matuidi ovunque, Douglas Costa capace di molto.

Pareggiò con Hamsik, il Napoli di aprile. Questa volta, niente. Tre parate di Buffon nel primo tempo, poi stop: solo mischie, solo brividi (rari). E di fronte c’era il signor Tridente. Paradossalmente, le parate più impegnative le ha fatte Reina (su Higuain all’inizio, poi su Matuidi) e, sempre paradossalmente, l’alleato più prezioso della Juventus è stato il torello di Jorginho e soci.

Possesso palla: 67% Napoli, 33% Juventus. La «bellezza» di questi bracci di ferro è tutta dentro la forza lucida degli uni e la volontà sterile degli altri. Questa determinata da quella. Il mio pronostico era 2-1 per il Napoli. Modestamente.

Sì Max no Max

Roberto Beccantini26 novembre 2017

Ma sì, in attesa di Napoli-Juventus e con tutto il rispetto per il catenaccione del Crotone, giochiamocela tra i Sì Max e i No Max (traduzione: i pro e i contro Massimiliano Allegri).

Sì Max: la Juventus ha 34 punti, uno in più della stagione scorsa. Se il Napoli vola e l’Inter pure, cavoli vostri.

No Max: non sarà colpa del mister, ma l’ennesima formazione estratta dal cilindro e tre piloni difensivi in casa, contro il Crotone, non sono certo sintomo di idee alte.

Sì Max: d’accordo, 57’ di patimento, senza capi né coda, ma volete mettere il tocco di Allegri. Lascia fuori Higuain, riporta al centro Mandzukic e il croato segna un gran gol. Su assist di quel Barzagli, che, scommettiamo?, molti di voi avrebbero tolto da un pezzo. A un certo punto richiama Lichtsteiner, mette De Sciglio e cosa non fa costui? Un gol bellissimo, il primo tra i professionisti. Solo quel miope del Beck l’aveva visto male con il Benevento. Mica è finita. Altra staffetta, Pjanic per Howedes (al debutto) e allora? Assist per il tris di Benatia, uno di quegli impiastri che avreste abbattuto.

No Max. Come no. Riuscite sempre a girare la frittata. Per un tempo, Lichtsteiner faceva l’ala e Dybala il terzino. Ci vuole un bel coraggio a chiamarlo calcio totale. A casa nostra si chiama gran casino, non proprio la stessa cosa.

Sì Max: A voi risulta che l’Inter abbia dato spettacolo a Cagliari, o il Napoli a Udine? Non siete mai contenti, siete pre-venuti. Fate passare il povero Allegri per un conservatore quando ha l’attacco più prolifico della serie A (40 gol) e la squadra va a segno ininterrottamente da 43 partite. Fatti, non parole.

No Max: comodo, con i Crotone and company. Quando l’asticella si abbassa, la Juventus si alza. Ci si vede venerdì sera al San Paolo. Non parole, fatti.

La ricetta di Rocco

Roberto Beccantini25 novembre 2017

E’ un’Inter molto fisica, molto concreta. Sa subire, sa soffrire, sa parare (Handanovic su Pavoletti). Ricorda la Juventus di un anno fa. Non incanta: incarta. E si porta via il risultato. Per una ventina di minuti, il Cagliari di Lopez sembrava di un altro pianeta. Poi Spalletti ha ritoccato l’assetto, passando a tre in difesa, e Icardi – al primo tiro, alla prima occasione, al primo «tutto» – ha rifinito un bel cross di Candreva e una sponda, acrobatica, di Perisic. Bye bye lavagne.

A Coverciano sostengono che sia il gioco a fare i giocatori. Per carità, ogni tanto capita. Non questa volta. Secondo Nereo Rocco, sempre sia lodato, «una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un “mona” che segna e sette asini che corrono». Ci ho pensato con affetto e, credetemi, con invidia.

Ha perso, il Cagliari, per aver cercato di vincere. Difesa alta, senza paura di lasciare Ceppitelli pericolosamente solo con Icardi; Romagna, Faragò e Barella indemoniati, Joao Pedro e Pavoletti accerchiati ma non prigionieri (non sempre, almeno). L’esperienza insegna che è difficile reggere cadenze simili. Gianni Brera parlava di «eretismo podistico», un eccesso che porta «a morire di sé medesimi». Come puntualmente è accaduto. Il raddoppio, d’alta scuola, l’ha propiziato ancora Candreva, non esattamente il Candreva «svedese», e siglato Brozovic, appena entrato al posto di Vecino. A quel punto la partita si è spenta come una candelina di compleanno dopo il soffio del festeggiato.

La rete di Pavoletti, splendida, e il gol di Icardi (con forti dubbi Var sul contatto Rafael-Perisic) hanno consegnato all’archivio un 3-1 che rispecchia il rambismo difensivo e l’efficacia dell’Inter di Spalletti, un italianista che sa vendere con ruspante malizia il sodo al quale bada.