Io scorto, tu scorti, egli scorta

Roberto Beccantini18 aprile 2017

A Santiago Bernabeu non interessavano i centri commerciali, gli alberghi e neppure le torri di pallottiano cemento. Interessava uno stadio che facesse paura. Se l’è fatto, gliel’hanno dedicato. Lasciate ogni speranza o voi che entrate: era di Dante. Jorge Valdano l’ha tradotto in «miedo escenico». Quello che provò Robert Valentine, scozzese, la sera in cui tirarono una biglia allo zio Bergomi, e Real-Inter finì 3-0 come se niente fosse volato. O quello che, sempre Valentine, provò in un Real-Juventus d’antan, annullando un gol limpido di Manfredonia. Vero: per 20’ minuti la Signora maritata Marchesi non era uscita di casa, Butragueno aveva segnato, il Real avrebbe meritato almeno un altro paio di gol. Ma non li fece. E lo subì.

Non ho dubbi che, secondo il codice Guardiola, Ancelotti sarà corso a complimentarsi con i suoi ex sodali, perché chi vince ha sempre ragione. E il Real ha battuto il Bayern 4-2 ai supplementari, dopo averlo rimontato pure a casa sua (2-1). Tripletta di Cristiano Ronaldo. Resta la scorta fornita dalla terna di Kassai. Nell’ordine: 1) fiscale rosso a Vidal (o prima o non per quel non-fallo); 2) manca il secondo giallo a Casemiro; 3) il gol del 2-2 di Cristiano Ronaldo è in fuorigioco di un metro; 4) il gol del 3-2 di CR7 è in fuorigioco di centimetri. Quattro a zero? No, quattro a uno: a monte dell’autorete di Sergio Ramos, Lewandowski era in offside, lui quoque.

Scritto che Cristiano ha realizzato cinque gol in due partite, non so se, tra andata e ritorno, sia passata la squadra più forte. Il Bayern, al quale non sono bastati due rigori, il primo dei quali inventato, ha pagato le due espulsioni (Javi Martinez all’Allianz, Vidal a Madrid). Immagino il sigaro di Santiago Bernabeu. Le nuvole che vedete in cielo sono il fumo delle sue «tirate». I centri commerciali? Gli svincoli? Lo stadio. Y nada màs. Forza Var.

Buona Pasqua

Roberto Beccantini15 aprile 2017

Ho seguito il primo derby made in China, molto divertente e tutto sommato equo, al di là delle lanterne rosse(nere) agli sgoccioli degli sgoccioli. E poi mi sono dedicato al sole di Pescara e alle carezze di Muntari a Omarino Dybala, uscito con la caviglia destra leggermente distorta. Per carità: scagli la prima tibia chi. Però.

Di Bello, non proprio l’arbitro: al massimo, le bollicine di Cuadrado. I gol di Higuain appartengono, da anni, al repertorio del serial killer. La partita era una di quelle tappe che la memoria (di e attorno a Zeman) rendeva suggestiva e infìda. Di pomeriggio, poi: e, per giunta, tra il Barcellona e Barcellona.

Alla Juventus, in questo preciso scorcio della stagione, non si poteva chiedere nulla più di quello che ha fatto, di quello che ha dato. Nel Pescara, decimato, si coglievano qua e là le orme del Maestro, orme che la modestia della rosa faticava a seguire. Se mai, era il tasso protervo di alcuni tackles a incuriosirmi.

Allegri, lui, ha dovuto gestire un Pjanic nervoso, un Mandzukic sempre più mediano, un Neto chissà come (dopo Napoli). Logico il turnover, ma prezioso anche il messaggio, con il movimento cinque stelle al gran completo meno Khedira, avvicendato da un dignitoso Marchisio.

Non ho visto, in compenso, Roma-Atalanta 1-1. Mi hanno riferito di un tempo buttato dalla Roma e un po’ di iella nella ripresa (palo di De Rossi, traversa di Dzeko). Gasperini, la cui conferenza disertata per la presenza di un giornalista non gradito sta facendo il giro dei manincomi, era privo di Gomez e Spinazzola. A Kurtic ha replicato Dzeko. Voce dal fondo: gli attacchi contano, le difese pesano.

E’ il momento degli auguri. Una Pasqua serena a tutti voi, Pazienti, e a tutti i vostri cari.

La scintilla

Roberto Beccantini11 aprile 2017

Se basterà non lo so, ma partite come queste restano. Allegri ha srotolato tutto il repertorio della sua Juventus, repertorio che non sempre apprezzo, e tutto il meglio. A cominciare da Dybala, l’uomo che al confine i doganieri attendevano a sarcasmo spianato: facile, con il Chievo; dimostralo con Messi. L’ha dimostrato. Due gol, e che gol: entrambi di sinistro, ça va sans dire. Di pettine il primo e di rasoio il secondo.

Poi i riflessi dell’infinito Buffon su Iniesta (e sull’1-0, soprattutto). Poi la specialità della casa, quel pugno chiuso che ogni tanto vorrei più «alto» e spesso diventa catenaccio: alla guerra come alla guerra. Poi il dottor Chiellini, che «morde» Suarez (in senso buono) e va pure a incornare il 3-0. Poi il coraggio (del mister) di lasciare Alex Sandro per un tempo nella zona di Messi e Dani Alves, sempre, a tu per tu con Neymar. Poi Mandzukic mediano, un classico, e Higuain mezzala, un’esigenza.

Per metà partita Luis Enrique ha regalato un uomo (Mathieu). Il Barcellona è stato Messi: che assist, a Iniesta e Suarez. Alla Juventus è andato tutto bene, al Barça no, però 4 gol dal Paris Saint-Germain, 3 dalla Juventus e 2 dal Malaga non sono semplici indizi: sono prove che confermano la pigrizia del possesso-palla e la fragilità della fase difensiva.

Per Neymar e Suarez, solo briciole. Mercoledì prossimo al Camp Nou ci sarà da soffrire, che discorsi, ma questo può essere davvero il punto di svolta che la Juventus d’Europa sfiorò in Baviera. E’ sempre difficile pesare il netto della squadra senza la zavorra del campionato. Vittorie così aiutano a cementare l’orgoglio e la stima. La Juventus ha avuto più fame. E se il quadro l’ha dipinto Dybala, gli altri, tutti gli altri, hanno provveduto a metterci la cornice e a sistemarlo sulla parete. Perché tutti potessero ammirarlo. Anche Messi.