La «crisi» di Higuain

Roberto Beccantini11 dicembre 2016

Belotti uno, Higuain due. Il derby è tutto qui, nella cesura del tabellino prima ancora che nell’equilibrio dell’ordalia (nel primo tempo, meglio la Juventus; nel secondo, il Toro), anche se il 3-1 propiziato da Dybala e firmato da Pjanic appartiene alla panchina di Allegri: e, dunque, al tesoro della società.

Un attimo prima del raddoppio, ripeto: un attimo, Mihajlovic aveva puntato tutte le fiches alla roulette dei cambi: Boye e Martinez al fianco di Belotti e Ljajic. Quattro punte, alla Mourinho. Gli è andata male. E’ andata meglio ad Allegri, con Dybala al posto del solito, ciclopico, Mandzukic e Pjanic al posto di Cuadrado.

E’ stato un derby combattuto, con i duellanti vicini ogni volta che il Toro pressava, anche se poi, alla fine, sono proprio queste le partite che la Juventus preferisce: aspre, complicate. Belotti è già, nel suo genere, un piccolo Higuain. Penso al modo in cui recita il ruolo, in esclusiva funzione della squadra. Higuain, invece, è Higuain. Lo avevo lasciato schiacciato da Mandzukic, lo ritrovo padrone dell’area, tre occasioni due gol. Il detonatore della rimonta. A buon intenditor (intenditor?).

Con lui, Dybala. Era senza fantasia, la Juventus. L’ha portata. Vi raccomando l’azione del terzo gol. Il Toro le ha provate tutte, dalle incursioni di Zappacosta e Barreca alla libertà di Ljajic (suo l’ultimo brivido, al 73’, con un gran destro a giro). Ricordo un paio di parate di Hart; di Buffon, invece, solo qualche uscita (se mai, una «murata» di Mandzukic su sventola di Benassi).

Le tre sconfitte a referto, la capolista le aveva sempre incassate dopo la Champions. Il Toro veniva dopo la Dinamo, un impegno un po’ così. Su entrambi i fronti, è mancata la differenza dell’ultimo passaggio. E allora ci ha pensato Higuain. L’hombre del partido.

Sonni d’oro

Roberto Beccantini7 dicembre 2016

Primi, dunque. Sia il Napoli sia la Juventus. E allora? Lunedì, nel sorteggio degli ottavi, potranno pescare Paris Saint-Germain, Benfica (solo la Juventus), Manchester City, Bayern, Bayer Leverkusen, Real Madrid, Porto e Siviglia (solo il Napoli). Viceversa, hanno evitato Arsenal, Barcellona, Atletico Madrid, Monaco, Borussia Dortmund e Leicester. Ma allora conveniva arrivare secondi, già sento brontolare. Così ragionano i pavidi. La Champions comincia dall’eliminazione diretta. Andata fuori, ritorno in casa: alè. Attenzione: da qui a metà febbraio c’è di mezzo il mercato. Potrebbe essere un problema, più che una soluzione.

Un bottiglione di sonnifero, ecco cos’è stata Juventus-Dinamo. Capisco l’esigenza di preservare energie in vista del derby, ma proprio per questo sarebbe stato meglio darci dentro subito e russare dopo. E’ difficile che – nel calcio, almeno – gli ultimi riescano a essere i primi: alla Dinamo non si poteva chiedere di più di quello che ha fatto, un catenaccio mobile, quasi dolce, in attesa di quei Tartari che i tenenti Drogo di Zagabria tanto temevano ma che sarebbero arrivati nella ripresa, non prima.

Il ritmo era di una lentezza esasperante, Higuain sfiorato da servizi che sembravano pallottole sparate alla cieca; Mandzukic non più umanamente marziano; Asamoah quantum mutatus ab illo; Lemina, Pjanic e Marchisio ciondolanti, Cuadrado in edizione «uffa». Insomma: sonni d’oro, al di là degli strilli di Allegri e dei brusii dello Stadium.

Il lampo di Higuain, la sgrullata di Rugani (tra i migliori, con Lemina) e l’epifania di Dybala (dodici minuti) hanno scongiurato l’abbiocco generale. Non credo che il passaggio al rombo sia stato cruciale. I croati sono calati, i Tartari sono arrivati. Punto.

Con personalità

Roberto Beccantini6 dicembre 2016

D’accordo, il «massacro» di Kiev aveva trasformato la sfida di Lisbona in un alterco condominiale con in ballo «solo» il primo posto del girone, ma in casa giocava il Benfica, non il Napoli. E il Napoli ha vinto con pieno merito. Agli ottavi di Champions in prima classe. Complimenti. Questa sera tocca alla Juventus. Già qualificata, ospita la Dinamo. Per perdere la «testa», dovrà perderla in senso letterale.

Due su due, dunque. Come un anno fa, anche se non proprio: Juventus e Roma si classificarono seconde. Allegri dietro il Manchester City, Garcia (c’era ancora lui) dietro il Barcellona. Cosa sposti l’ordine d’arrivo, lo sapremo lunedì, giorno del sorteggio. E comunque: bisogna far paura, non aver paura.

Di solito, sono i calcoli che ci fregano. Questa volta, hanno fregato il Benfica. Non è mai facile vincere in trasferta, tanto meno allo stadio da Luz. Del Napoli, ho apprezzato la personalità. Sempre sul pezzo, nella luce del fraseggio e nel grigio dei cali (uno, soprattutto: Albiol, a giochi fatti). Insigne alla Dybala è stato prezioso; e l’ingresso di Mertens, addirittura determinante: assist a Callejon e raddoppio in punta di dribbling.

Non era un girone terribile, ma non è che l’esperienza europea del Napoli – di questo, almeno – fosse una montagna. Con Milik in campo, due vittorie: 2-1 a Kiev, 4-2 al Benfica. Senza, una sconfitta (2-3 con il Besiktas), due pareggi (1-1 a Istanbul e 0-0 con la Dinamo) e il successo di Lisbona. Sarri ci ha provato con Gabbiadini e con la banda Bassotti (Callejon-Mertens-Insigne). Hamsik, lui, non si discute. Diawara ha sfrattato Jorginho e Zielinski non sarà Allan ma spesso gli viene preferito.

Per vincere, il Napoli non ha alternative. Deve giocare meglio dell’avversario. Come ha fatto con Inter e Benfica. Indizi curiosi, in attesa di riavere il suo Armadio.