Bello poter dire: si vedrà

Roberto Beccantini5 maggio 2015

E’ una di quelle sere che ti prende l’euforia che fine a notte non ti lascia più. Se ho parafrasato Ornella Vanoni, un motivo c’è. Nell’andata delle semifinali di Champions League (ripeto: nell’andata delle semifinali di Champions League), la Juventus ha sconfitto per 2-1 il Real Madrid, campione in carica. Morata subito, poi Cristiano Ronaldo, poi la traversa di James Rodriguez, poi il rigore su e di Tevez (chiaro), poi catenaccio, poi l’occasione strozzata di Llorente.

Grande partita, molta italiana, non sempre bella ma sempre tesa, sempre sospesa. Allegri ha alternato schemi su schemi (4-3-1-2, 4-4-2 con Vidal vicino a Pirlo, 3-5-2) , e ha azzeccato a tal punto la mossa Sturaro che avrei sostituito Pirlo, non lui. Ancelotti, da parte sua, nel togliere riferimenti agli avversari, li ha tolti anche a Bale, falsissimo nueve. Fior di assenze: Pogba, Modric, Benzema. Il centravanti tornerà al Bernabeu, mercoledì. E, a naso, non sarà la stessa musica.

Nel frattempo, mi accontento di questa. La Juventus ha giocato più di squadra, il Real più sui singoli. Fiammeggiante l’inizio: velocità, pressing, precisione, profondità. Vidal e Marchisio ovunque e comunque: i migliori, da lì alla fine. Certo, il catechismo di Fusignano contempla l’occupazione militare della metà campo nemica, soste prossime allo zero, spallate su spallate. E’ così che si sarebbe dovuta comportare la Juventus? Magari. A tavolino, e in ufficio, da dove sto scribacchiando, le partite riescono perfette. In campo, un po’ meno.

Non  è più la Juventus martello di Conte, che però in Europa picchiava poco .  E’ una Juventus matura, paziente, consapevole dei propri limiti: e questa è una risorsa (Simeone dixit).

L’ordalia è girata attorno alla traversa di James Rodriguez, già Musa del pareggio.
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Infinita Juventus

Roberto Beccantini2 maggio 2015

Sembrano tutti dovuti, gli scudetti della Juventus. Come se il censo degli Agnelli bastasse, da solo, a produrli, a giustificarli. Invece no. Ognuno ha la sua storia, il suo fascino. Questo è il trentunesimo, il quarto consecutivo (anche per la Clinica, inaugurata il 7 novembre 2011), il primo di Massimiliano Allegri, sul Conte del quale ero molto scettico. Come nel 1977, in occasione del «battesimo» di Giovanni Trapattoni, la Signora l’ha partorito a Marassi, contro la Sampdoria. Veniva dall’impresa di Bilbao, quella Juventus. Dovrà inventarsene un’altra, «questa»: martedì c’è la Champions, c’è il Real, c’è Cristiano Ronaldo.

Non ci sono parole: si dice sempre così, e poi si vergano lenzuolate. Come simbolo, prendo Carlitos Tevez. Come partita chiave, Lazio-Juventus 0-3. Come aggettivo, paziente. Succede all’imbattibile del primo Conte (zero sconfitte), al martellante del secondo, all’esagerato del terzo (102 punti, record dei record). Paziente (e versatile, aggiungo) nel senso che Allegri, precettato d’urgenza al secondo giorno di raduno, non ha avuto fretta. Ha aperto il 3-5-2 aziendale e vi ha lavorato come uno scaltro Geppetto, senza sfigurarlo ma neppure senza lasciarlo «immobile», fino al 4-3-1-2 che ne ha caratterizzato l’eclettismo morbido della gestione.

Il gol-suggello l’ha firmato Vidal, al 33’33″ del primo tempo: immagino la ola dei Pazienti di fronte a questa orgia di tre. D’accordo, la concorrenza non era straordinaria, ma la Juventus l’ha resa ancora più piccola. Neppure Conte lo aveva vinto alla 34a. E in piedi ci sono ancora le semifinali di Champions e la finale di Coppa Italia.
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Tra segni e sogni

Roberto Beccantini30 aprile 2015

Non è facile districarsi tra la realtà e i sogni. Lo scudetto è lì, a un punto, ma è pure lì il Real, a un passo. E dal momento che nel caso specifico anche gli avversari si giocavano molto (l’Europa League), Juventus-Fiorentina è stata elettrica, confusa, ricca di cose. Montella-Nutella veniva da tre sconfitte, le ultime due in casa con Verona e Cagliari. La Juventus offre ben altri stimoli. Si è visto.

A conferma di una tendenza precisa e complessiva, se pensiamo a Icardi, Higuain e «nonno» Toni, hanno risolto gli uomini d’area. Llorente e Tevez di testa, Tevez di destro, in contropiede. Il paziente Fabrizio scrive di «giallo inventato a Neto». Devo dedurre che, per lui, la punizione che ha propiziato il pareggio non ci fosse. Può darsi: una difesa meno distratta avrebbe dovuto porvi rimedio, comunque.

Non sono bastati, alla Fiorentina, due rigori: entrambi su Joaquin, a conferma che il dribbling ha ancora un senso, in questo calcio tutto lavagna e pizzini. Gonzalo Rodriguez ha realizzato quello dello 0-1 e calciato fuori quello del possibile 2-2. Immagino i moccoli di Montella: su un totale di sei penalty, i suoi ne hanno sbagliati la bellezza di cinque.  Lo dedico ai maniaci delle classifiche alla moviola, per i quali rigore uguale gol. Lo andassero a raccontare ai Della Valle.

Dal derby alla Fiorentina sono stati soprattutto gli episodi a spostare i risultati. Scritto questo, capisco che la Juventus non abbia incantato, ma nello stesso tempo credo che non si possa sempre pesarla sulla bilancia dei 102 punti. Conte, il cui triennio resta straordinario, non andò oltre i quarti della Coppa nazionale e, pur di addentare il record, scaricò l’Europa League.
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