Che pena

Roberto Beccantini22 aprile 2013

Dopo Milan-Napoli, ecco a voi Juventus-Milan. Se possibile, è stata ancora peggio. Una pena indicibile. Fino al rigore di Vidal ho pensato addirittura a Buffon e al suo celeberrimo «meglio due feriti che un morto». Eppure c’era stato il gol di Muntari e, all’andata, il rigore fasullo di Isla (questo, viceversa, era netto). Il contatto Amelia-Asamoah ha sfrattato i cattivi pensieri, ma non il giudizio di merito sulla partita: povero il nostro calcio.

Voce dal fondo: i campionati si vincono anche così. Il Milan non perdeva dal 22 dicembre, la Juventus vince da sei partite: i diciotto punti di differenza affiorano dalla stagione, non tanto da una notte. Napoli permettendo, il suggello potrebbe arrivare addirittura nel derby, domenica. Due scudetti su due: Conte è andato al di là delle colonne d’Ercole. Mi auguro che la società non lo dimentichi e, compatibilmente con le risorse di bilancio, provveda. Il 3-5-1-1 è fratello del 3-5-2 che, abbandonato il 4-2-4 della scapigliatura, ha condotto la squadra in cima all’Italia.

Non credo alle minestre riscaldate: dunque, nemmeno a Ibrahimovic. In compenso, ci sono notti in cui Vucinic mi porta a tifare anche per la più insipida delle brodaglie. E la notte del Milan era una di queste. Naturalmente, ce ne sono altre che fanno del montenegrino uno dei miei piatti prelibati. Morale? Non sarà certo Llorente a risolvere il problema.

La miglior difesa della serie A ha concesso zero tiri al Milan. Le assenze di Balotelli e Flamini hanno pesato. La presenza di El Shaarawy, pure: non è più l’Attila di un girone fa. A 20 anni, certi alti e bassi sono umani. Era una tappa cruciale, la Juventus se l’è presa aspettando l’attimo, l’episodio. E’ stata un’ordalia senza qualità. Un po’ come Marchisio trequartista: ci aveva già provato Lippi, ai Mondiali, e proprio bene non andò.

Scusate

Roberto Beccantini15 aprile 2013

Scrivere di calcio – del nostro calcetto, poi – dopo la notizia di Boston non è facile. La mia prima Olimpiade fu quella del 1972. Monaco di Baviera, Settembre Nero, l’assalto alla palazzina d’Israele, la carneficina all’aeroporto. Ero a Roma, per Roma-Real Madrid, l’11 settembre del 2001. Mi chiamarono da Milano: guarda la Cnn. La guardai. Ero al Comunale di Torino, la mattina del 16 marzo 1978, quando arrivò la notizia del rapimento di Aldo Moro e della strage della sua scorta. La Juventus aveva appena eliminato l’Ajax ai rigori, i taccuini inseguivano le convergenze parallele di Dino Zoff. Ero a Cervia quando andammo sulla luna. E in redazione, a Milano, quando cadde il muro di Berlino.

Stavo guardando in tv Lazio-Juventus quando mia moglie mi ha telefonato. Hai saputo? Saputo cosa? Boston. Ordigni alla maratona. Morti, feriti. Un attentato. Ecco: in quei momenti ci si sente piccoli piccoli (io, almeno, mi sono sentito tale). Ho un collega, Luigi Bolognini, che ha fatto la maratona di New York. Vorrebbe raccontarla in un libro. Gli ho detto: fallo. Mi ha risposto: fammene correre un’altra. Boston mi ricorda le fornaci del Mondiale 1994, i gol di Roberto Baggio alla Nigeria (fidatevi: era più bello il pezzo che avevo «già» scritto per fustigare l’eliminazione) e alla Spagna (in contropiede, caro Arrigo).

Rischio di mischiare il sacro con il profano, ma un pensiero mi va di buttarlo giù comunque. Un pensiero banale di tristezza infinita. Il fanciullino che mi porto dentro ero pronto a sfidarvi sui resti della Lazio (troppo comodo) e su Vucinic unica punta (troppo presto, per trarre conclusioni ponderate). Sono serate che ti scappano via, l’uomo che fa a pugni col giornalista e il giornalista col tifoso.

Uno, nessuno e centomila: quante volte vorrei essere uno, quante volte sono centomila.

In gruppo, ma lontano dai fuggitivi

Roberto Beccantini11 aprile 2013

A Monaco la partita non era mai cominciata, a Torino è finita subito (al di là dei gol). Due a zero, due a zero: la differenza tra Bayern e Juventus è stata più netta, più profonda, più imbarazzante di quanto pensassi. Il mio pronostico era 55% a 45%. Per giugno, Marotta ha già preso Llorente. Non basta, naturalmente, e non credo neppure che sia molto diverso da Mandzukic, un pivot che mi piace tanto. C’è poi chi ha Robben e Ribery e chi Asamoah e Padoin. Con tutto il rispetto.

Heynckes non ha fuoriclasse: è superiore la qualità media, e non di poco. Inutile tirare fuori l’Italia-Germania degli ultimi Europei. La decise Balotelli, che della Juventus non è e che alla Juventus servirebbe, e come.

Stiamo parlando della miglior squadra d’Italia. I soldi, oh yes. Non solo quelli, però. Servono idee (alla Barzagli e alla Pogba, per esempio) e pazienza. In campionato, la Juventus tratta gli avversari come il Bayern ha trattato lei. La società di Andrea Agnelli veniva da due settimi posti. Uno scudetto e un altro probabile, una Supercoppa di Lega più i quarti di Champions, con due sconfitte in dieci partite: soltanto i talebani possono discutere un simile bilancio.

I tifosi hanno capito e applaudito. Il distacco dai fuggitivi (Real, Barcellona, Bayern) rimane enorme a tutti i livelli, mentre la distanza dal gruppo è stata colmata. Fossi in Conte, comincerei a pensare a qualcosa di alternativo al 3-5-2. Inoltre: Pirlo ha bisogno di un vice (insisto: Verratti), Vucinic non basta. Inutile arrampicarsi sugli specchi. Fino a ieri Pogba era un progetto di fuoriclasse (confermo), non sarà mica diventato una pippa?

Sarebbe un errore, ripeto, tradurre la grandezza del Bayern con il vocabolario dei limiti della Juventus. Per adesso, sono due lingue diverse. Ha ragione Conte: al lavoro. A cominciare da Marotta.