Da Pirlo a Pogba

Roberto Beccantini10 marzo 2013

Il dopo coppa è quasi sempre una tortura, e poi gli scudetti si vincono anche così, raccontava mio nonno: ansimando per 94 minuti, lucrando sui limiti della concorrenza (Napoli k.o.), andando oltre le proprie umane debolezze.

Peggiore in campo, Pirlo: l’uomo che morde il cane. Migliore, Pogba. Marotta lo strappò al Manchester United: l’uomo che morde il cane, ancora. Pogba non ha il «timing» di Vidal, negli inserimenti, ma un fisico, un passo e fondamentali da predestinato (classe 1993, mai scordarselo). L’arresto e cross, per Giacchierini, vale una secchiata di applausi. E il gol di Giaccherini, quando la competenza si sposa con il cuore e il cuore, magari piccato da un palo (di Vucinic), con qualcos’altro, riassume e rilancia l’eterna fiaba delle formiche: giammai do copertina, come certe cicale indolenti (Giovinco, Vucinic), ma da da ultima pagina e talvolta, per fortuna, da ultimissimi minuti.

Il senza voto di Buffon spiega la partita del Catania, che poco ha sofferto: chiudersi, sabotare gli spazi. Gli mancavano Legrottaglie e Bergessio, gli hanno espulso, con frettolosa baldanza, Maran. Ho pensato, vista l’immanenza dello 0-0, che la nemesi volesse risarcirlo dei torti subìti al Cibali. Ha segnato Giaccherini e, quindi, Conte ha azzeccato i cambi. E’ stata una Juventus molle, imprecisa in Lichsteiner e Asamoah, sterile in attacco. Ai punti, come ad alcuni lettori piacerebbe non leggere, avrebbe vinto largo, tra palo, voli di Andujar (almeno un paio, lui che proprio angelo non è), sgorbi di Marchisio.

Era una tappa ambigua e, per questo, pericolosa. Chi ha un gioco sorretto da grandi giocatori, può prescindere dal ritmo. La Juventus no: deve correre, non semplicemente trottare. Nei quarti di Champions, più nove sul Napoli, più undici sul Milan: e se Galliani stavolta ci avesse azzeccato?

Milanset Premium

Roberto Beccantini9 marzo 2013

Fossi in Mazzarri, comincerei a preoccuparmi. Il Milan ha vinto anche a Marassi: sette punti in otto partite e poi 44 in venti. Tutti Allegri. Il gregge è diventato gruppo; e il gruppo, squadra. Giù il cappello. L’obiettivo dichiarato di Galliani resta il terzo posto. Non solo: «Lo scudetto l’ha già vinto la Juve». Gufata storica di ex juventino. Non dubito che per lui l’abbia già vinto la Juve. Per gli arbitri, non si direbbe. Dalla sera di Milan-Juventus, quando un’ascella di Isla venne tradotta da Rizzoli in tutt’altra roba, il vento è cambiato. Gli episodi pro Diavolo hanno surclassato quelli pro avversari. Simbolo della svolta, il rigore agli sgoccioli degli sgoccioli di Milan-Udinese.

Scagli la prima moviola chi. Per carità. La Juventus toccò l’Everest dei favori tra Catania e Inter, al Napoli non fischiano un rigore contro da una vita. Non piace a nessuno parlare di arbitri: ogni tanto, però, bisogna. L’aiutino seriale stuzzica la fantasia.

I bar sport pullulano di grafici, di statistiche, di proiezioni. Hai visto mai che la congiuntivite del Berlusca… Da Balotelli a Damato, le gocce di collirio fioccano. (D)amato, già: per non cacciare Bertolacci, gamba alta su Muntari, doveva proprio sentirsi in colpa (difatti: al Genoa mancano un paio di rigori).

Sorrido di fronte all’avanzata di Milanset Premium, al gol di Muntari sul telefonino di Galliani, al rigore di Valeri sul cellulare di Pozzo (?), al «Vergogna» di Foschi, ai dossier che ogni società tiene nel cassetto.

Siamo al disegno, al complotto, al teorema. Il Corriere dello Sport-Stadio fece di tutto per allontanare Rizzoli da Napoli-Juventus: in un altro Paese, l’avrebbero preso a pernacchie, in questo c’è riuscito. Lungi da me volare così in alto: non ne sono capace. Prendo atto, e ripeto. Fossi in Mazzarri, sì, sarei nervoso. Voce dal fondo: e se fossi Conte? Mi fiderei di Galliani.

Pupone e pompierone

Roberto Beccantini3 marzo 2013

Cameriere, champagne (anche per l’arbitro, già che ci siamo). A 36 anni, Francesco Totti ha raggiunto Gunnar Nordahl. Il pupone come il pompierone: 225 gol in serie A. Tutti per la Roma, che è stata e rimane il suo amore, la sua forza, il suo limite. E’ stata una notte bella ma non facile, dal rigore-omaggio alla personalità del Genoa. La storia si porta via la cronaca. Resta, Francesco, l’ultimo dei numeri dieci di un calcio romantico e deportato, più completo di Roberto Baggio, Roberto Mancini, Gianfranco Zola e, noblesse oblige, Alessandro Del Piero.

Ha vinto poco, in rapporto alle risorse. Giampiero Boniperti e Giorgio Tosatti me l’hanno descritto come il giocatore più vicino al leggendario Valentino Mazzola, nel repertorio e come uomo squadra. Il fisico gli ha permesso di essere tutto, e di tutti: prima e seconda punta, rifinitore, mezz’ala. Pigro da legare, indisponente e geniale da impazzire. A Roma, per mezza Roma, Francesco incarna una sorta di religione, da opporre al culto nordista. Avesse scelto Madrid, Milano o la Juventus, a quest’ora parlerei di qualche gol in meno ma di molti trofei in più.

Evviva Totti e abbasso il tottismo, foriero, come tutti gli «ismi», di censurabile fanatismo. La carne è debole, e anche la sua lo è stata: sputo a Poulsen, pedata nel sedere a Balotelli, calcione a Pirlo. Davanti, non gli resta che Silvio Piola, irraggiungibile a quota 274: insieme, avrebbero formato una coppia straordinaria.

L’indotto, pittoresco e a volte grottesco, non mi interessa. Mi interessa Totti, gran cannoniere e gran passatore. Per Norman Mailer, il talento non è che «equilibrio sul bordo dell’impossibile». Ecco: sotto quell’aria da discolo pasoliniano, ribadita anche nel bisticcio con Kucka, Totti ha sempre frequentato il bordo facendo pubblicità all’impossibile.