I due estremi

Roberto Beccantini6 aprile 2013

Il Bayern è campione di Germania con sei giornate d’anticipo, la prima del campionato italiano ha impiegato 73 minuti per sgretolare, in casa, il muro dell’ultima in classifica. Calcio, mistero senza fine buffo. Per rimontare la squadra di Heynckes serve sempre un’impresa, mentre per difendere lo scudetto basterà gestire il gruzzolo. A basket, storia vecchia, la Juventus avrebbe vinto di trenta, ma il football si gioca con i piedi e Pelizzoli, parafrasando Beckenbauer, ha dimostrato di essere tutt’altro che un «pensionato».

Si può discutere il fallo che ha generato la punizione dal quale poi sarebbe scaturito il rigore, non la trattenuta su Vidal e il rosso a Rizzo. All’andata era finita sei a uno, e le occasioni che lo propiziarono, se vi fidate, non furono più numerose.

Una Juventus di scorta e di trotto piccolo, compressa tra l’infortunio di Giovinco (auguri) e il palo di Quagliarella. Il simbolo è stato Vucinic, dalla ciabattata invereconda a porta vuota alla doppietta salvavita. E’ fatto così, il montenegrino: vive di eccessi, detesta la normalià. Cannoniere della squadra con nove reti, rimane uno dei tanti geni «compresi». Dimenticavo: penoso lo strip (mutatis mutande)

Il Pescara non ha nemmeno picchiato: ha fatto catenaccio, ha atteso, come fece la Sampdoria, che il temporale passasse (e Pelizzoli aprisse l’ombrello). Anche la Juventus di riserva pensava alla Champions, prova ne siano il gol di Cascione, splendido, e la parata di Storari su Sculli: a volte, la pancia piena impigrisce persino il pilota automatico.

E adesso, sotto col Bayern. E’ più forte della Juventus, e credo che portarlo ai supplementari sarebbe già un miracolo. L’importante sarà cancellare il nulla dell’andata. Per lasciare l’Europa con lo stesso piglio con il quale vi si era entrati.

Nel calcio ci sta molto, non tutto.

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Come il gatto col topo

Roberto Beccantini2 aprile 2013

Prima non c’è stato Buffon, poi non c’è stata partita. Chapeau al Bayern. Ha stradominato al di là del mio pronostico (55% a 45%). Ha consegnato la Juventus a una dimensione più umana. La sua. Ciò non significa aver fatto poco, ma dover fare ancora molto.

A certi livelli – in Europa, soprattutto – il gioco non basta. Servono anche i giocatori. Heynckes li aveva, Conte no: o comunque, sono stati schiacciati. E’ stato proprio a centrocampo che il Bayern ha fissato i confini della differenza. Il suo pressing alto ha sradicato fior di palloni dai piedi timidi di Pirlo (non una novità) e Bonucci. E sempre al limite dell’area: in acque, cioè, pericolosissime. Capisco la nobiltà del tiki-taka, ma qualche volta il caro, vecchio, «campanile» andrebbe riesumato dalla cantina. Non parliamo poi di quello che è successo sul fianco destro, tra Peluso-Marchisio e Robben-Lahm: un massacro.

Gli errori del portierone, d’accordo. Ma quando il primo tiro nello specchio arriva al 70’ (di Vidal, parato da Neuer), non ci sono alibi ai quali aggrapparsi o capri espiatori da offrire al sentimento popolare. Gli ingressi di Vucinic e Pogba hanno prodotto minuscole bollicine, anche se al montenegrino sono bastati un paio di tocchi per agitare un reparto intero.

Sono realista, non sfascista. La qualificazione è compromessa: a Torino mancheranno, fra gli altri, Vidal e Lichtsteiner, squalificati. La Juventus è prima in Italia e tra le prime otto in Europa. Non deve vergognarsi di essere inferiore al Bayern: a «questo» Bayern, in particolare. Più ritmo, più qualità, più personalità. E una «riserva» come Robben.

Sinceramente, non pensavo a un divario così imbarazzante, ma questa è l’Europa, vai sotto dopo trenta secondi, hai tutta la notte davanti e gli avversari te la fanno semplicemente annusare. Come il gatto col topo.

Conte di fatto

Roberto Beccantini30 marzo 2013

Non capita spesso che siano gli attaccanti a firmare le vittorie della Juventus. Di solito, ci pensano i centrocampisti. Quagliarella (gol più assist) e Matri – punte di riserva, tra parentesi – hanno attraversato e domato Inter-Juventus. Non una gran partita, ma un tamburello aspro, equilibrato e abbastanza divertente. Due gli episodi da moviola: Handanovic su Vidal, Chiellini su Cassano. E uno solo da arresto: i piedi a martello di Cambiasso, espulso, sulla caviglia sinistra di Giovinco. No tu no, gli avrebbe cantato il grandissimo Enzo Jannacci: no lui no, nel senso che certe cose non si fanno (e l’argentino, che ricordi, non le ha mai fatte). Bravo, Conte, ad accettarne le scuse e proteggerlo, a «incitare» i suoi a capire l’attimo, il raptus.

Sentivo puzza di pareggio. La partita non mi ha spiazzato. Da una parte, una squadra: la Juventus. Dall’altra, fiammate: l’Inter. Fra la sfida d’andata, persa, e questa di ritorno, vinta, i campioni hanno raccolto 40 punti, il doppio degli avversari, che mercoledì recupereranno, a Marassi, la sfida con la Sampdoria.

Non c’era Milito. Rientrava Samuel. Di solito, le soste delle Nazionali confondono i riferimenti. Con il Bayern di mezzo, poi, la Juventus rischiava di distribuire calcoli, energie. Non bisogna dimenticare che Conte ha avuto bisogno anche di Buffon, su Cassano e Palacio. Non è un segnale necessariamente nefasto. Atttenzione, piuttosto, alle palle perse: con la difesa così alta, diventano morsi di serpenti. Prova ne sia l’errore di Pirlo che ha introdotto l’azione del pareggio. Storia vecchia. Il Bayern non aspetta altro. Sarà una sfida dura, ma aperta.

Coraggiosa, la reazione dell’Inter. Da squadra con gli attributi, lo strappo della Juventus. Si è giocato alle tre del pomeriggio: ho pensato a quando ero ragazzo e sognavo un’altra Italia. Buona Pasqua a tutti.