I petardi di Milano

Roberto Beccantini6 maggio 2023

Nell’ambito delle cerimonie indette per il Coronation month di re Napoli III, i petardi della volata Champions servono a tenere svegli i sudditi (in)fedeli. C’era in ballo la seconda puntata della saga Milano-Roma. La prima, tra il 29 e il 30 aprile, era andata così: Roma-Milan 1-1, Inter-Lazio 3-1. Oggi, in compenso, è andata cosà: Milan-Lazio 2-0, Roma-Inter 0-2.

Il bel gioco mi strappa l’applauso. Certi gol mi strappano dalla sedia. Quello di Theo, per esempio. Da area ad area, cavaliere solitario, tra sentinelle oggettivamente distratte, ma pur sempre frutto di una scintilla improvvisa, di un egoismo che, zolla dopo zolla, diventa un’idea; e l’idea, un attentato ai sacri testi. L’equilibrio lo aveva spaccato Bennacer, complice la leggerezza di Marcos Antonio. Morale: Pioli, in vista dell’euro-derby di mercoledì, ha cancellato le rotazioni e le omissioni che l’avevano zavorrato contro la Cremonese. Unica ombra, l’infortunio di Leao. Tre sconfitte nelle ultime quattro partite, la Lazio è cotta. Occhio, comandante.

All’Olimpico, la locandina recitava Mourinho versus Inter. A suo modo, un conflitto di affetti, oltre che di interessi. Il Mou furioso e indecoroso di Monza, gli uomini contati e la sensazione di un addio a orologeria. Inzaghi in versione Aladino, turnover razionale e tutti sul pezzo. Un gol per tempo, come a San Siro: Dimarco, un terzino, su cross tagliente dell’altro terzino, Dumfries; Lukaku, su sgorbio di Ibanez, un guerriero che non molla mai ma, quando sbaglia, spalanca finestre, non fessure.

In vetrina, Matic e Brozovic. Un paio di parate di Onana, belle, una traversa del panchinaro Lau-Toro, gli spiccioli amari di Dybala. Un’impresa, per Maresca, non ammonire Calhanoglu. Per il resto, frizioni e tensioni in modica quantità. Domani, all’ora di pranzo, Atalanta-Juventus. Conosco il menu. Buon appetito.

Tutti in piedi: Napule (tr)è!

Roberto Beccantini4 maggio 2023

In alto i calici, come scriveva Gianni Brera, per il Napoli campione d’Italia con largo anticipo sulla cronaca (cinque giornate, addirittura) e bizzarro ritardo sulla storia (33 anni e cinque giorni). E’ il terzo scudetto, il primo della modernità; il primo, soprattutto, dopo Diego Armando Maradona. Inutile cercare di liberarsi da quei lacci, da quelle catene: a parte il fatto che nessuno vuole, Diego che incombe non sarà mai un peso, una barriera. Al contrario: un confine, un ponte. Una bilancia: per pesare chi eravamo «con» e cosa siamo diventati «senza».

Dedico, al titolo del Napoli, il pronostico che scrissi il 12 agosto 2022, su «Eurosport», a mercato ancora aperto: quinto, dietro Inter, Milan, Roma e Juventus. Con questa motivazione: «Via Koulibaly, Fabian Ruiz, Insigne e Mertens. Dentro Kim, Olivera e Kvaratskhelia. Aspettando Simeone e Raspadori. Rimane competitiva, la rosa, anche se, sulla carta, un po’ meno. Spalletti è abituato a sopire e forgiare. De Laurentiis non è un mecenate alla Moratti, ma Napoli e Bari (da pattugliare) non sono pesi piuma».

Vedi Napoli e poi. E poi tante cose, troppe cose. Non so se ci abiterei (o ci avrei abitato, ormai), ma ogni volta che ci capitavo mi sentivo felice e spensierato prigioniero di un presepe così incasinato di marmitte e Capodimonti. Tanto, me ne sarei andato. Tanto, sarei tornato.
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Ritardi diversi

Roberto Beccantini3 maggio 2023

Lo scudetto del Napoli è ormai materia esclusivamente burocratica: e si sa quanto, in Italia, l’apparato sia cavilloso, se non permaloso. Manca un punto, uno solo: stasera a Udine? Il popolo sperava di poterlo celebrare domenica scorsa, al Maradona, ma la Salernitana si mise di traverso. Sono ritardi che galvanizzerebbero i nostri treni, figuriamoci i suoi avversari.

E’ stata la Lazio ad allontanare lo champagne. Occhio, però: il 2-0 al Sassuolo è bugiardo assai, dal momento che, tra il gol di Felipe Anderson e il contropiede di Basic (al 92’, addirittura), la sofferenza ha toccato picchi omerici, bucati com’erano i serbatoi e grevi le gambe. La traversa di Frattesi, i dribbling di Berardi e un paio di parate di Provedel hanno offerto il risultato a ogni genere di epilogo. Veniva da due rovesci, Sarri. Il secondo posto è una medaglia che va ben oltre la rosa.

La squadra più brillante del periodo? L’Inter. Proprio lei, la pazza Inter delle undici sconfitte. Finalista in Coppa Italia, semifinalista in Champions, devastante a Verona: 6-0. D’accordo, è stata l’autorete di Gaich ad aprire il mar Rosso: ma già Montipò ne aveva evitati un paio. Poi Calhanoglu, Dzeko, Lau-Toro, ancora Dzeko, ancora Lau-Toro. Terzo successo di fila, in campionato, dopo il 3-0 di Empoli e il 3-1 alla Lazio. Dodici gol (a uno) in tre partite .

Le rotazioni di Inzaghino – non più schiappa, a naso: o sbaglio? – hanno recuperato gli appetiti delle riserve (penso all’acrobazia di Gosens, domenica), il motore canta, e l’avversario non viene più atteso al varco, o rosolato a fuoco lento, ma preso di petto, come le big dovrebbero far sempre. Per carità, l’Hellas non è più la ciurma piratesca di Juric e Tudor: resta il senso di una vittoria larga e profonda che impone una domanda. Por qué solo adesso?