Con merito, al di là del rigore

Roberto Beccantini20 gennaio 2021

La Juventus doveva ricominciare; il Napoli, continuare. Ha vinto, con merito, la Juventus perché, a volte, per andare avanti bisogna tornare indietro: al tutti per tutti, all’occhio di tigre, a quelle armi, mentali e fisiche, che, domenica sera con l’Inter, un po’ aveva nascosto e un po’ le avevano sottratto. E’ la nona Supercoppa, il primo trofeo di Andrea Pirlo.

Gli episodi, certo. Il miracolo di Szczesny su Lozano nel primo tempo, il rigore sbagliato da Insigne, l’altro miracolo del polacco agli sgoccioli. Per carità. Eppure Juventus due Napoli zero. Cristiano in mischia, quando la partita sembrava Laocoonte ingessato dai serpenti; Morata in contropiede, quando puoi prendere alla gola chi ha l’acqua alla gola.

Che finale è stata? Lenta, grigia, accesa dai falò degli attimi, con il torello di Madama a segnare la rotta, con il Napoli timido, forse troppo, aggrappato all’attesa. Sono mancati i tenori: Insigne (ben oltre il penalty), Zielinski, Lozano, Chiesa, Kulusevski, a tratti persino il marziano. Non mi aspettavo il ritorno di Cuadrado. E’ stato cruciale. Lì, sulla fascia destra, in combutta con McKennie, a frenare Insigne o chi per lui. Solo Szczesny gli ha tolto l’onore del podio più alto.

Ci sono stati pochi tiri, a conferma del predominio dei pacchetti difensivi (Bonucci-Chiellini da una parte, Manolas-Koulibaly dall’altra). A centrocampo, Pirlo ha proposto un trio – McKennie, Arthur, Bentancur – che ha sequestrato il cuore del ring. Arthur, già: il brasiliano imbuca di qua e imbuca di là, avrebbe bisogno di «cartoline» che gli dettano il lancio, merce rara. Bernardeschi al posto di Chiesa sembrava il classico cerotto ad alto rischio. Invece no: e non solo per il gol sfiorato in avvio di ripresa.

Ha chiuso, Gattuso, con Mertens, Lozano, Insigne e Llorente.
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Una lezione, non la prima

Roberto Beccantini17 gennaio 2021

Per capire la lezione dell’Inter, bastava aver capito la lezione del Sassuolo (in dieci). Solo che molti ignorano le stelle e guardano il dito (che le indica): è più comodo. Ha chiuso, la Juventus, con due tiri: uno di Rabiot, all’inizio (bravo Handanovic); uno di Chiesa, alla fine (bravissimo Handa). In mezzo, solo Inter. Non aveva ancora segnato in campionato, Vidal: eccolo. Di cresta, su cross di Barella. Che a destra, con Hakimi, ha fatto terra bruciata.

Conte ha praticato il suo calcio, un calcio di morsi, di trappole, di folate. Cosa avesse in mente Pirlo, non lo so. Non l’ha capito nessuno: nemmeno chi avrebbe dovuto. Con il Milan ci furono almeno le fiammate di Chiesa. Questa volta, calma piatta. Sembrava quasi che, per aver schierato Chiellini e Frabotta, un antico cardinale e un giovane seminarista, la squadra avesse paura di sporgersi: così facendo, avanzava al passo, ritmo che i dirimpettai spezzavano in scioltezza per armare contropiedi micidiali, molti dei quali sciupati da Lau-Toro.

Vidal si mangiava Rabiot (a destra), Cristiano e Morata, fra i peggiori, non riuscivano a trovare né posizione né munizioni, anche perché Ramsey era un fiammifero bagnato e Bentancur pascolava nei paraggi di Bonucci: palla indietro tipo rugby, sempre. Con Brozovic libero e signore là nella terra di mezzo, dove il pressing di Madama era una bava di cipria.

L’Inter ha lasciato il possesso sterile ad avversari che non graffiavano e manco mordevano, confusi nel loro labirinto, apallici e grevi. Brozovic smistava il traffico, Bastoni poteva serenamente avanzare, il duello Chiellini-Lukaku era roba da massimi, se non proprio il massimo. Immagino che De Vrij e Skriniar non si aspettassero una notte così tenera.

Di solito ha cali di tensione, la Juventus. In questo caso
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Che Kulu, che Sassuolo

Roberto Beccantini10 gennaio 2021

Sembrava una partita a scacchi fra i gatti padroni del possesso gomitolo (avesse detto). La Juventus, una grande che cerca di giocare giovane; il Sassuolo, un giovane che cerca di giocare grande. Lavori in corso. Perdeva i pezzi, Madama, che già ne aveva fuori tre per Covid: McKennie, il più vispo, poi Dybala. Li rimpiazzavano Ramsey e Kulusevski. Teneteli a mente.

L’equilibrio regnava talmente sovrano e timido che persino la claque faticava a sciogliersi. D’improvviso, al 41’, Obiang zompava su Chiesa. Il rosso varista di Chiffi, sfuggito al buonismo di Massa, offriva al placido don (Pirlo) un vantaggio non da poco. Il rigagnolo diventava fiume. Cristiano e la coppia Ramsey-Kulusevski sfioravano il gol. A De Zerbi mancava Berardi e Boga, lui, sarebbe entrato solo a metà ripresa.

Che bel Sassuolo: mai prono anche in dieci, sempre propositivo attorno a Locatelli e capace, addirittura, di pareggiare con Defrel, su tocco di Traoré (classe 2000) il destro filante di Danilo. Pagava, la Juventus, l’immancabile ruttino da (di)gestione. Ma, come spesso capita, faceva pagare i tesori della sua panchina: Ramsey, autore del 2-1 su cross di Frabotta; e Kulu, devastante. Straordinario l’assist fornito a Cristiano, solo che l’extraterrestre di questi tempi è poco extra e invece di stregare Consigli, si è fatto stregare. Salvo rifarsi agli sgoccioli, dopo aver domato un lancio di Danilo alla Platini.

Di tutto un po’: dormite omeriche (di Bonucci su Defrel, di Chiriches e Kryakopulos sul gallese), gesti gladiatori (Kulusewski, libero di occupare l’attacco in ampiezza), gol splendidi nel gesto (Danilo) e nell’azione (Defrel). Mi ha deluso Caputo. Milan e Sassuolo sono scalpi preziosi. Obiang ha spaccato la partita, brava la Juventus a raccoglierne i cocci. Ripeto: che bel Sassuolo. E domenica, scolato un bicchiere di coppa, l’Inter a San Siro.