Messi-Cristiano, sempre bello

Roberto Beccantini1 ottobre 2020

Sempre bello, Messi versus Cristiano. E’ l’omaggio della Champions all’ultimo decennio di calcio. Subito dopo, Pjanic e Arthur, per ora riserve. Senza trascurare Rambo Koeman e Sua Geometria Pirlo. Juventus-Barcellona nasce così, e non è poco. E’ stato un sorteggio buonista, anche se il Covid infuria e costringe a vivere alla giornata. Il gruppo di Madama è suggellato da Dinamo Kiev (Lucescu, uno dei miei cocchi) e Ferencvaros: c’era una volta la scuola magiara. Una volta, appunto.

L’Inter ha pescato il Real (e Hakimi, dunque, il «papà» scettico), lo Shakhtar appena demolito in Europa League e quel Borussia Moenchengladbach che rimanda alla celeberrima lattina e ai corsi (e ricorsi, soprattutto) dell’avvocato Prisco. Conte, lui, ritrova Zidane. Insieme alla Juventus non si annoiarono.

C’è chi parla dell’Atalanta come del Liverpool italiano: detto fatto, la Dea sarà ad Anfield, Gasperini contro Klopp, gran ballo dei terzini (Alexander-Arnold e Robertson, Gosens e Hateboer); sul menu, una scorpacciata di emozioni. Chiudono Ajax, un Ajax in fase di transizione, e i frugali danesi del Midtjylland.

Pure la Lazio respira. Le sono toccate Zenit, Borussia Dortmund e Bruges. Poteva andare peggio. Il problema resta la politica del doppio binario, alla quale Lotito e Inzaghino non sono più abituati.

Ribadito che passano le prime due, ecco il mio borsino (in attesa del vostro).

Gruppo A: Bayern 90%, Atletico Madrid 85%, Salisburgo 20%, Lokomotiv Mosca 5%.

Gruppo B: Real Madrid 70%, Inter 65%, Borussia Moenchengladbach. 45%, Shaktar 20%.

Gruppo C: Manchester City 90%, Porto 60%, Marsiglia 40%,
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La Dea con l’elmetto

Roberto Beccantini30 settembre 2020

C’erano ruggini, fra Lazio e Atalanta, ruggini che risalivano alla finale di Coppa Italia di un anno fa. Anche per questo, la Dea, che santa non è, si è infilata elmetto e stivali. Alla guerra come alla guerra. Morale: uno a quattro. Si può discutere dello scarto, e del gol mangiatosi da Immobile che avrebbe scatenato la caccia al romanzesco 3-3 dell’ultimo campionato. Non sul resto.

Gasp è uno dei pochi che pesano. Il suo calcio, rapido e concreto, mescola l’antico con il moderno, le marcature a uomo (Toloi su Milinkovic-Savic, Pasalic su Lucas Leiva) e il pedalare rotondo, ficcante, occupando il campo per quello che dovrebbe sempre essere: un luna park o un poligono di tiro, mai una prigione.

Può scappare qualche lancio di troppo verso Zapata, e può succedere che Acerbi, il migliore delle Aquile, lo disarmi. Può capitare che, in alcuni frangenti, gli avversari giochicchino meglio, ma poi, senza bisogno di rimboccarsi le maniche, metafora che Guido Ceronetti detestava, ecco i petardi, ecco i terzini, ecco i gol. Di Gosens il primo, di Hateboer il secondo (di piatto destro, su palla del tedesco: specialità di Bergamo, non solo di Anfield) e poi il Papu. Rasoiata di destro, cannonata di sinistro. Classe pura, da «dieci» argentino che balla il tango, se serve, al ritmo del rock.

Sì, è la solita Atalanta, ma un’Atalanta che, in attesa di Ilicic, sa vincere di fetta e non solo di torta, in rimonta come a Torino o di fisico e di pugnale come all’Olimpico. La Lazio ci ha provato, ma Luis Alberto e Milinkovic-Savic erano accerchiati, Immobile più Cenerentola che scarpa d’oro e Caicedo, rete a parte, molto nervoso. Non penso che il k.o. di Correa abbia sabotato la trama, alla quale un silente Maresca ha offerto grotteschi scenari da wrestling. Per lo scudetto c’è pure la Dea. A patto che ci creda come noi crediamo in lei.

Un esame «salvato»

Roberto Beccantini27 settembre 2020

Era un esame, per la Juventus di Pirlo, ed è stato salvato, ammesso che il termine non forzi il segreto istruttorio, ma non superato. Doppietta di Veretout, doppietta di Cristiano: 2-2. C’era Morata, la quarta scelta. C’era Dzeko, la prima. La Roma di Fonseca, ben protetta, ha limitato i rischi e, fino al rosso di Rabiot (62’), sembrava padrona del campo. Si è mangiata tre gol: uno con Mkhitaryan (grande Szczesny), due con Dzeko (palo scheggiato, ancora il portiere).

I sentieri di Veretout, le sponde di Dzeko, il duello Spinazzola-Kulusevski erano il piatto forte dell’ordalia. Non tirava mai, Madama: lo farà solo con Cristiano. Il risultato è stato introdotto da due rigori, netti, di braccio troppo largo per evocare le camicie di forza del mani-comio; Rabiot e Pellegrini gli autori, Veretout (con il brivido) e il marziano i cecchini.

Poi è successa una cosa romanzesca. Tutti all’attacco, gli juventini. Era il 46’ o giù di lì. E’ scattata una transizione tipo showtime dei Lakers di Magic Johnson, tre contro uno, da Dzeko a Mkhitaryan a Veretout, un penalty in movimento.

Pirlo è appena arrivato. Lasciamolo lavorare. Il problema è a centrocampo. Nessun regista, tutti registi è un bello slogan, ma McKennie e Rabiot sono portatori, non lanciatori. I languori di Pjanic facevano arrabbiare, i suoi assist no. Visto che il calcio è strano, la Roma si è colpevolmente sdraiata sulla superiorità numerica, Arthur (soprattutto) e Bentancur hanno animato una squadra che faceva del possesso palla uno sbadigliante feticcio. L’incornata del 2-2 appartiene al repertorio aereo di Cierre; il cross, splendido, alle montagne russe di Danilo.

Serve geometria, urge fantasia. Dybala, sì: al posto di Morata, per adesso. Dalle rose doriane alle spine romaniste il passaggio è stato brusco. E domenica c’è il Napoli.