Griglia, griglia delle mie brame…

Roberto Beccantini18 settembre 2020

La Clinica aprì nel novembre del 2011, questo sarà il decimo campionato. Tranquilli: resterà operativa fino a quando la Juventus non vincerà la Champions League. Nel frattempo, vi propongo la mia griglia, mai come in questo caso parziale e facoltativa, visto che si viene dall’estate del virus e il mercato chiuderà il 5 ottobre. Lo confesso: sono stato indeciso fino all’ultimo, che senso ha vaticinare se non si sa chi è il centravanti della Juventus, se fra Vidal, Kanté e l’Inter non è ancora fatta, se, se, se. Poi, però, mi son detto: una traccia, per modesta e scorbutica che sia, devi darla. I pazienti la meritano. Eccola:

1) Juventus, 2) Inter, 3) Atalanta, 4) Milan, 5) Napoli, 6) Roma, 7) Lazio, 8) Fiorentina, 9) Sassuolo, 10) Torino, 11) Cagliari, 12) Bologna, 13) Udinese, 14) Sampdoria, 15) Parma, 16) Verona, 17) Benevento, 18) Genoa, 19) Crotone, 20) Spezia.

Si comincia domani, senza pubblico e con cinque cambi, senza Rocchi e con tre squadre liguri, fra Suarez promosso e Dzeko promesso, il pulpito di Conte già brulicante e la cattedra di Pirlo allenatore ferma, per ora, a una tesi che invita a recuperare il pallone il più presto possibile e a lasciare libertà negli ultimi trenta metri: però. Sua Geometria risolveva i problemi dal campo: d’ora in poi dovrà affrontarli dalla panchina.

Come sorpresa indico la Fiorentina di Amrabat e Bonaventura. Più in generale, vedo distanze minime sia in testa sia in coda. Mi incuriosisce la Lazio del doppio binario campionato-Champions (per questo le ho preferito la Roma, al netto del grave k.o. di Zaniolo). La scorsa stagione, piazzai in coda il Verona. Fu la rivelazione. Invito lo Spezia a sorridere.

Ibra quasi 39, Ribéry 37, Chiellini 36, Cristiano 35, Dzeko 34. E Buffon, a 42, non ancora turista. Vecchia Signora, vecchi signori. Con Dybala, a nemmeno 27, sempre in bilico. Buon viaggio.

Nazionale col filtro

Roberto Beccantini7 settembre 2020

In uno stadio intitolato a Johan Cruijff bisogna mettersi sull’attenti e giocare onorandone le tracce che fissò, il messaggio che diffuse. E’ quello che ha fatto l’Italia di Roberto Mancini, asfaltando per un’ora l’Olanda che fu, paesi bassi e difesa grattacielo, senza capo (in panchina: tale Lodeweges)) né coda (Wijnaldum, il migliore, fuori ruolo per un tempo) né ariete (troppo tardi, il De Jong del Siviglia).

L’unica nuvola è l’infortunio di Zaniolo: ancora in ginocchio, auguri di cuore. Per il resto, luna piena e stelle, tante stelle. Il Mancio è uno dei rari allenatori che, a mio avviso, brillano di più da ct. Sette cambi rispetto alla Bosnia di venerdì, soprattutto Jorginho: altra musica, il centrocampo. E – per una sera, almeno – potere alla sinistra: Spinazzola-Insigne. Lì è nato il gol di Barella, propiziato da Immobile. Barella di testa, da centravanti, la scarpa d’oro in cross, da rifinitore: il calcio, signori. E per pudore, visto il luogo, non aggiungo «totale».

C’è la torta, manca (ancora) la ciliegia di un «nove» europeo, quale Ciro sa essere solo in campionato, e quale Kean, schierato all’ala, non ha saputo diventare agli sgoccioli, quando il destino gli aveva offerto la fuga e armato il sinistro (scellerato).

Mi sono divertito. Per un’ora, grande Italia. Con Locatelli, al debutto, testa alta e recuperi tosti, con Barella indiavolato e con Chiellini, al rientro dopo una vita, protetto dal pressing che la squadra sprigionava da ogni tackle, per ogni zolla.

La Nations League sta al calcio come un’onda al mare, ma intanto la Nazionale è prima nel gruppo e solo nel finale ha avuto bisogno di ricorrere al cuore, ai corpo a corpo, a qualche campanile da cartolina, ai riflessi acrobatici di Donnarumma.

Restano il fraseggio, il piacere del gioco corale, semplice, veloce. Da ragazzi che non hanno paura di aver coraggio.

Guerra e (naturalmente) pace

Roberto Beccantini5 settembre 2020

Un parere sul caso Messi, invoca il gentile Causio. Ridurre un ventennio in trenta righe non è facile; e, a maggior ragione, dopo un braccio di ferro così burrascoso. La Pulce ha 33 anni e un contratto che scade nel 2021. Quando gli amori finiscono a pesci e clausole in faccia (rescissorie o vessatorie, non importa), il tifoso rimane disorientato. E l’esperto ci sguazza.

I fatti certi sono l’odio di Leo per il presidente Bartomeu e il rispetto per Guardiola, l’allenatore del tiki-taka, del Messi desposta, del «mio centravanti è lo spazio». Sul numero di settembre di «World Soccer», parlando delle differenze tra Liverpool e Manchester City, Jonathan Wilson fissava il confine nella fase difensiva: che Klopp aveva cementato con gli acquisti di un portiere (Alisson) e di uno stopper (Van Dijk) e Pep, viceversa, smarrito dopo l’addio di Kompany, i problemi di Stones e Otamendi, l’infortunio di Laporte. Ecco perché penso anch’io che, oggi, gli faccia più comodo «un» Koulibaly di «un» Genio.

Sarò romantico, ma credo in Messi quando dice che mai e poi mai avrebbe potuto portare in tribunale proprio il club che lo aveva raccolto nano e reso gigante. L’età avanza, imperterrita, e cazzotti come quelli di Roma, Liverpool e Bayern aiutano a farla sembrare una zitella acida. Da ciò che si racconta, l’argentino è stato molto più Richelieu dietro le quinte che non leader (alla Maradona) in campo. Al carattere non si comanda.

Come sempre, saranno i risultati a dettare l’epilogo del film, la cui prima scena si girò addirittura su un tovagliolo di carta (quello del primissimo contratto) nel giurassico 2000. A marzo verrà eletto il nuovo presidente. Basta con Bartomeu. Affinché Messi possa ripetere – magro conforto o estrema corona? – quello che un generale spagnolo confessò in punto di morte. Richiesto di perdonare i suoi nemici, rispose al prete: «Non posso, signore. Li ho uccisi tutti».