Senza scannarci

Roberto Beccantini15 ottobre 2020

Lascio volentieri il «tavolino» di Juventus-Napoli agli Aslologi che hanno sostituito i virologi dopo che costorono avevano scalzato i tecnologi. Invito alla calma i pazienti. E’ solo il primo tempo. Ci sarà il ricorso, scenderà in campo il matador Grassani, fior di avvocato, chissà mai se arriveremo alla sentenza «saggia» invocata dal ministro Spadafora (perché poi «saggia?»).

Secondo il giudice sportivo, il Napoli avrebbe fatto il furbo: Asl o non Asl. E, per questo, la sua diserzione non sarebbe riconducibile a «cause di forza maggiore». La parola alla difesa. Al di là di Napoli e Juventus, resta sullo sfondo il problema del «precedente». Con due positivi, il Genoa ha giocato proprio al San Paolo. E sempre con due, in Premier, il Liverpool è sceso in campo a Birmingham, rimediando una memorabile stangata dall’Aston Villa (2-7). De Laurentiis no. Glielo hanno impedito le autorità sanitarie regionali. Il verdetto sancito scoraggia gli emulatori. Un ribaltamento, probabile, li stimolerebbe: o comunque, li giustificherebbe. Al netto dell’obtorto (proto)collo sul quale, se non ho letto male, la procura federale ha aperto un fascicolo.

Fermo restando il punto cruciale: furono o non furono le Asl campane a sabotare la trasferta del Napoli? Mi siedo sulla sponda del fiume, in curiosa attesa. Non ho fretta, non ho referenze né preferenze. A nessuno piace vincere così; e, nello stesso tempo, nessuno dovrebbe giocare sul Covid, insinuano a Napoli e rimandano da Torino, a turno.

L’importante è non spaccare la Clinica, specchio del Paese reale. E ricordare sempre, come diceva Voltaire, che il dubbio non è piacevole ma la certezza è ridicola. Mi manca, tanto, il parere di Sarri. Il comandante che ha fatto la rivoluzione di là e la restaurazione di qua. Per voi come andrà a finire?

Errori ed emozioni

Roberto Beccantini14 ottobre 2020

Mi diverto sempre, con la Nazionale di Mancini, anche quando non vince (sono già due pareggi consecutivi), anche quando sbaglia (come Immobile, che pur si muove). E poi proprio a Bergamo, dopo l’inverno delle bare: tutti quei sindaci, tutti quei medici, tutti quegli infermieri. Il calcio che, in punta di piedi, capisce e s’inchina.

L’Olanda non era più l’Olandesina di Amsterdam che bacchettammo al di là del minimo scarto. De Boer l’ha rianimata, difesa a cinque come Van Gaal al Mondiale brasiliano e fasce (la sinistra, soprattutto) molto elastiche, Blind a tutto gas, Frenkie de Jong in regia, un gigante, Wijnaldum e Depay ad aprire la scatola di Bonucci e Chiellini, sui cui gomiti non tramonteranno mai i dibattiti. Sono mancati i centravanti, sia a noi sia a loro.

Si poteva vincere, si poteva perdere, è stata una partita che il radar mobile di «Barellik» ha subito consegnato alla profondità di Lorenzo Pellegrini – bello il lancio, bello il resto – e van de Beek ha recuperato in mischia, a conferma che, nello sport come nella vita, conta l’attimo, non il fiocco.

Abbiamo sofferto e li abbiamo fatti soffrire, così così Verratti, un po’ datato Jorginho, Chiesa alla periferia del villaggio, in bilico tra i rintocchi dell’ala e i doveri del terzino (meglio i polveroni di Kean, decisamente), D’Ambrosio e Spinazzola bloccati ai valichi. Poi, con Florenzi e gli adeguamenti difensivi, a specchio, un po’ più di respiro.

Deciderà Italia-Polonia di Reggio Emilia, il 15 novembre. Passa solo la prima, in Nations League, e Lewandowski (due pere alla Bosnia) ci ha superato. Lungi dall’essere perfetti, e in assenza di fuoriclasse in grado di scavare la differenza, gli azzurri sono vivi e trascinano: e in questi giorni avventurati di Covid, non è poco.

Guida spericolata

Roberto Beccantini4 ottobre 2020

Molto temerario, nelle sbracciate di Immobile e Sensi, ravvisare la «condotta violenta». E giustificare, dunque, i due rossi del pessimo Guida. Nel mio piccolo, mi hanno colpito più gli svenimenti di Vidal, fin lì uno dei più efficaci, e di Patric.

E così Lazio-Inter è finita 1-1, con la Lazio in dieci dal 69’ al’86’ e dopo aver perso fior di pezzi (Radu, Marusic, Bastos). Al posto di Conte, sarei imbufalito. E’ un vizio, quello di farsi sfilare punti già in tasca. E questi, visto come marcia l’Atalanta, avrebbero fatto comodo.

In vantaggio d’astuzia con Lautaro, ha avuto il torto, l’Inter, di non chiudere la partita. Ne ha avuto l’agio, i mezzi, le occasioni. Un po’ di pressing, un po’ di Hakimi, un po’ di molti: non, però, con la ferocia che sarebbe servita. E il palo «carambolato» di Brozovic, agli sgoccioli, è un episodio che non riga la sentenza.

Rintronata dalla Dea, la Lazio sembrava il rimorchio di un tir. Finché, complice l’autista sbadigliante del camion, non ha trovato un ventello di orgoglio e di gioco. Se l’Immobile di questo scorcio non è il massimo, e Correa neppure, Luis Alberto ha preso possesso del centro del ring e Milinkovic-Savic, su cross di Acerbi – una colonna, sempre -, ha incornato fra Perisic e Handanovic, l’uno convinto che l’avrebbe presa l’altro.

Conte ha privilegiato la difesa a tre perfino alla superiorità numerica, Inzaghino ha chiuso con Akpa Akpro ed Escalante. I cambi, decisivi con la Fiorentina, questa volta non hanno fatto la differenza. La fase d’attacco (10 gol in tre gare), è già a buon punto; non altrettanto quella difensiva (6). Più di così, la Lazio non poteva fare. L’Inter, sì. E’ mancato il tocco del trequartista (Barella); e se Lukaku è stato prezioso lontano dalla porta e poco efficace sotto, Perisic ha bivaccato ai margini.

In attesa che le Asl facciano il loro corso, possibilmente compatte.