L’asticella

Roberto Beccantini4 novembre 2020

Scrivere, o non scrivere, questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente glissare colpi di cipria e dardi di ridicola euforia o prender armi contro una banda di brocchi e, opponendosi, por lor fine? Censire, riverire.

Quando l’asticella si abbassa, gli Amleti della Juventus si alzano. Due a zero a Kiev, quattro a uno alla Puskas Arena di Budapest. In mezzo, il banchetto catalano allo Stadium. Ottavi in tasca: a volte, la Champions ristora. Per un’ora, sino alle comiche del portiere e dintorni, la squadra di Pirlo aveva giochicchiato. Il pubblico, la pioggia, i ritmi lenti: le condizioni ideali per chi ha voglia. E Morata ne aveva. Belli i gol: il primo, in avvio, su lancio di Bonucci e cross di Cuadrado; il secondo, in girata, su servizio di Cristiano e velo di McKennie.

Occhio, però, alla sindrome di Démbelè (pur di far segnare il marziano, la quarta scelta non ha tirato) e al suo opposto (pur di non far segnare Morata, Cierre ha tirato e sbagliato). Dettagli. Pirlo aveva parcheggiato Dybala e inserito Ramsey, poi stiratosi (naturalmente). C’era il solito Cristiano agitato e un Chiesa, almeno lui, pronto a lanciarsi nello spazio. Con Arthur che fagocitava palloni e tocchettava corto, per la gioia degli statistici.

In generale, e sempre a «media luz»: brandelli di pressing e pochi smarcamenti. E il Ferencvaros? Immagino, da lassù, i moccoli del colonnello Ferenc: c’era una volta la scuola danubiana. Una volta. Bentancur ha avvicendato Arthur e l’ha fatto con il ringhio del buttafuori. Poi Dybala. Entrato al posto di Morata, e subito in modalità torello, va a referto con un gol e un autogol, sintesi delle gag di Blazic, Dibusz (soprattutto) e Dvali. La rete di Boli ha fissato un 4-1 in trasferta che, come sempre, dividerà
Leggi tutto l’articolo…

Ammaina barriere

Roberto Beccantini3 novembre 2020

Ero stato un po’ tirchio, nel leggere Real-Inter: 1-1. Sono andato vicino al pareggio, non allo spirito dell’ordalia, degna in tutto e per tutto del calcio usa e getta post Covid. Anche se mancava Lukaku, l’attacco ne ha fatti altri due, con Lau-Toro (splendido il tacco di Barella) e Perisic (chirurgico, per una volta). Il problema di Conte resta la fase difensiva. Un delirio, in uscita: Vidal, Hakimi (suo l’assist per Benzema); e, più in generale, le operazioni di rientro.

Benzema e Sergio Ramos, di cabeza, avevano portato la trama su un risultato fin troppo obeso. La reazione dell’Inter è stata all’altezza. Poteva tornar sotto, poteva scappare. Poi i cambi di Zizou. Sembravano addirittura avventati, gi ingressi di Vinicius e Rodrygo, ma proprio loro hanno firmato il 3-2: passaggio del primo, rete del secondo. In contropiede, l’arma che più e meglio di un trattato racconta questo periodo storico da avanti Savoia: un po’ perché le porte chiuse hanno seppellito il fattore campo e un po’ perché la pandemia ha trasmesso smanie infantili che travolgono, spesso, la scienza delle lavagne.

Preziosi, gli spiccioli di Modric. Ripeto: partita pazza, come pazzo era stato il cappotto del Borussia allo Shakhtar. Mi ha deluso Hakimi, una delle possibili chiavi per aprire le fasce. E un Vidal così arretrato non mi sembra proprio la soluzione ideale. L’Inter è ultima, adesso: deve darsi una mossa, il girone è un gran casino.

Dal luna park di Valdebebas al poligono di Bergamo. Un piccolo Liverpool ha affrontato il grande Liverpool. Morale: zero a cinque. Il gioco (del Gasp o di chiunque altro) ti porta fino a un certo punto, poi tocca ai giocatori. E se Ilicic resta in panchina, il Papu arranca e dalla gabbia esce solo un leone (Zapata, due traverse), you’ll never walk alone ma bye bye. Brani di aggressione, Klopp, e via di lancio lungo e pennellato
Leggi tutto l’articolo…

Da Ibra a Cristiano

Roberto Beccantini1 novembre 2020

Da Ibrahimovic (39 anni: assist per Kessié e sforbiciatona a Udine) a Cristiano (35 anni: al rientro, gol e rigore a Cesena). La differenza, per ora, è nelle squadre che gli ronzano attorno. Il Milan del dopo lockdown viaggia come un treno. La Juventus del terzo allenatore in tre stagioni, va a sbuffi.

Italiano è un artigiano che ha fatto, dello Spezia, una bottega che difficilmente ti frega: come idea, dico. Poi, certo, i giocatori sono quelli che sono, e la Maginot magari un tantino alta. E a ritmi così lenti, perfino la squadra di Pirlo ha creato, segnato (con Morata, per una volta benedetto dai centimetri del Var), sciupato (con Dybala, con Chiesa, una delle rare volte che la manovra l’aveva tirato giù dall’amaca).

Ma per vincerla è dovuto uscire Dybala, dopo il pareggio di Pobega, con relativo banchetto spezzino al limite dell’area, e atterrare il Marziano. Tocco di Morata, e via. Quindi Rabiot di destro (i cambi, i cambi) e ancora Cierre di cucchiaio.

I passaggi più armoniosi erano di Danilo (sic); intrigava quel McKennie che correva a sporgersi dal davanzale (suo il tocco dell’1-0 moratiano). E Arthur smistava la solita quantità di palloni. Non è ancora la soluzione, non è più un problema. Vi ricordo la massima di Falcao: «Per un centrocampista, il guaio non è perdere palla, è perdere tempo». Ops.

Era il compleanno di Madama, Pirlo veniva da tre pareggi e dalla lezione di Messi. E’ la fase difensiva, come ribadito in Champions, che va restaurata, migliorata. La tendenza ad arretrare dentro «the box» moltiplica i problemi, visto (soprattutto) il Demiral attuale. E Buffon? Non proprio il massimo su Pobega; il massimo, viceversa, sull’incornata di Chabot. Ma gli alluci restano un po’ così: e a 42 anni, hai voglia.

Ricapitolando: palla al piede, progressi. Palla agli altri, no.