Scoppiati

Roberto Beccantini27 giugno 2018

Suvvia, ditemi voi se Germania-Corea del Sud non è stata un inno al calcio, all’unico sport che, giocandosi con i piedi, può trasformare un assedio in qualcosa di clamorosamente corretto? Nel basket, che si gioca con le mani e non contempla i portieri, i tedeschi avrebbero vinto, come minimo, di venti punti. Invece: Corea del Sud due, Germania zero.

E vai, allora, con la retorica che nel destino dei Grandi c’è sempre una Corea, da Middlesbrough a Kazan; con l’elogio dei «ridolini» (?) che, pur eliminati, hanno dato tutto difendendo ogni sentiero come se fosse questione di vita o di morte (e invece era solo questione di orgoglio). Tra parentesi, in un Mondiale che sta sancendo la crisi del ruolo, la Corea ha dimostrato di aver un signor portiere, l’allampanato Jo.
E la Germania? Avevamo appena finito di celebrarne la volontà feroce che l’aveva spinta, tra meriti e puntini puntini, oltre la Svezia. «I tedeschi non muoiono mai» è uno slogan che ha fatto storia. E con un ricco dossier a supporto. Questa volta non sono morti: sono scoppiati. Gli avversari correvano, loro camminavano. E senza centravanti, hai voglia di raccogliere le briciole che la cronaca, distratta, può lasciarti. I gol di Kim e Son (con Neuer lontano lontano) sono piombati alla fine dell’agonia, quando la larga vittoria della Svezia (sì, la Svezia senza Ibrahimovic) li stava spingendo alla spasmodica caccia di un gol qualsiasi.

Adesso, naturalmente, il modello tedesco sarà schiaffeggiato e irriso, esautorato e vilipeso. Difficile salvarne qualcuno, facile esecrarli tutti: il lento Khedira, lo sterile Ozil, l’impreciso Kroos (proprio lui, l’angelo salvatore), il grezzo Gomez, l’inutile Muller, il panoramico Reus. Mai successo che la Germania uscisse al primo turno di un Mondiale. Ci sarebbe voluta una goccia di Messi, almeno. Da tedeschi, sono usciti tutti insieme.

Caos bello

Roberto Beccantini26 giugno 2018

Resta ferita, l’Argentina, ma non è morta. Ha battuto la Nigeria, affronterà la Francia negli ottavi. Sono partite come il wrestling di San Pietroburgo che rendono unico il calcio. Fate finta che sia un cassetto e apritelo: troverete di tutto. Due bellissimi gol: Banega-Messi (gran controllo di coscia, grandissimo destro di controbalzo), Mercado-Rojo (splendida volée di destro). La sciocchezza di uno dei più scafati, il jefesito Mascherano, rigore e pareggio di Moses. Il palo di Leo su punizione, le due occasioni di Higuain, e solo la prima complicata dal coraggio di Uzoho. Emozioni dal campo, brividi dalle ombre di Croazia-Islanda.

Insomma: se cercate l’estetica guardiolesca, per carità; ma se vi basta la «bellezza» selvaggia che può derivare dai gesti dei singoli, dagli errori, dalle luci e dalle ombre che scortano gli snodi della vita, bé, allora siete i benvenuti.

Messi, certo. Aveva sbagliato un penalty con l’Islanda, era scomparso con la Croazia. Lo aspettavamo al varco. Ha indirizzato la sentenza, è tornato dentro le cose. E poi Sampaoli. Ci scanneremo: l’ha cambiata lui, la formazione, o gliel’hanno cambiata? Ha azzeccato la staffetta tra Caballero e Armani, almeno così è sembrato. Nel primo tempo, più Banega e Di Maria che non Obi Mikel, Moses e Musa. Nel secondo, gli argentini sono calati, Di Maria su tutti, anche perché subito affondati dal rigore, e questo non può essere un alibi; i nigeriani invece sono cresciuti, come già contro i grattacieli islandesi.

L’Argentina si trascina problemi seri a centrocampo e in difesa: la palla circola lenta, e le brecce, non appena il ritmo si alza o il morale si abbassa, esplodono. Ha ritrovato gli «episodi Messi», non meno suggestivi dei «momenti Federer», e le munizioni dei gregari. L’importante è non passare da un eccesso all’altro. Non sarà facile, ma conviene.

Come in un giallo

Roberto Beccantini25 giugno 2018

Alla fine, ma proprio alla fine e solo alla fine, è andato tutto come era nei (miei) voti: Spagna prima del gruppo B, Portogallo secondo. Qual è il problema? E’ che per arrivarci siamo dovuti passare attraverso un Mortarolo di Var. La Spagna perdeva 2-1 al 91’ contro il Marocco (senza Benatia), un regalo Iniesta-Sergio Ramos, il triangolo Iniesta-Isco, la bellissima schiacciata del ventunenne En-Nesyri sulla spalla di Sergio Ramos, e di tacco, addirittura, il 2-2 di Iago Aspas, quando ormai le furie erano solo rosse.

Una Spagna strana, che segna tanto (6 gol) pur tirando poco e incassa molto (5 gol) pur «tikitakeggiando» tanto. Da Lopetegui a Hierro non penso che sia cambiato il mondo: al massimo, il modo di comunicare. C’è un però. Non si discute il rango di favorita: si discute l’equilibrio, simbolo della premiata sartoria.

Nemmeno il Portogallo è stato brillante. In vantaggio con una trivela di Quaresma, non ha cercato il colpo del k.o. come avrebbe potuto e così si è esposto al calcio-rodeo dell’Iran fino all’1-1 e al rischio, concreto, dell’eliminazione. Ho trovato «rigorini» quello concesso e sbagliato da Cristiano Ronaldo (sul patibolo, prima o poi salgono tutti) e quello realizzato da Ansarifard al 93’. Non al massimo dello smalto, ma sempre sulla rampa di caduta, il Pallone d’oro ha rischiato seriamente l’espulsione: non tanto per la sbracciata che aveva portato il paraguaiano Caceres al primo giallo (non era grave, caro arbitro, ma se corre al Var…), quanto per l’assenza del secondo dopo una «parata» sulla tre quarti, a impedire l’ultimo campanile dei rivali. In caso di squalifica, non sia mai detto, avrebbe saltato gli ottavi con l’Uruguay che, zitto zitto, ha spazzolato la Russia, attesa al varco dalla Spagna. Unico caso in cui «bandiera» rossa, per forza, trionferà.