Dalla lettera di Sampaoli ai croati

Roberto Beccantini21 giugno 2018

Eppure era stato lui, di peso, a portarla in Russia. Lui, Leo Messi. E’ scomparso sul più bello, come già gli era capitato in Nazionale, mai però in una maniera così assoluta, così umiliante. Croazia tre Argentina zero è una sentenza che riassume una corona d’alloro e, forse, una lapide.

Non c’è stata partita neppure quando c’è stata. Troppo squadra, la Croazia del’uomo qualunque Dalic rispetto al volgo disperso di quel supposto genio di Sampaoli. Qualche cambio rispetto all’Islanda, ma la solita fuffa. Con Messi ramingo, Aguero soverchiato, la fase difensiva agghiacciante e un portiere, bé, un portiere sul quale mi ero già espresso nel «Fuoco amico». Il rigore fallito da Messi contro i grattacieli islandesi e la papera di Caballero hanno fissato i confini, sportivamente tragici ma legittimi, di una Nazionale legata al filo di Islanda-Nigeria.

La scuola dell’ex Jugoslavia si è sempre dissolta a un passo dagli esami di laurea, come per esempio 50 anni fa nelle finali europee di Roma. Se Rebic ha premuto il grilletto, Modric (giù tutto, non solo il cappello) e Rakitic hanno poi liquidato la pratica. Vi raccomando, anche, il contributo di Manzukic, di Kramaric, di Perisic e dei guerrieri che presidiavano i valichi.

C’era tempo prima, per sbloccare il risultato, e ce ne sarebbe stato dopo, per incollarlo. Niente. Qualche mischia, un sacco di botte, una serpentina di Messi e solo, o soprattutto, Croazia. Leo è «fuggito», letteralmente, all’ingresso, tardivo, di Higuain e Dybala. Mentre gli avversari correvano leggeri, Messi arrancava come se l’allenatore fosse lui. Con il Brasile, l’Argentina era una delle mie finaliste virtuali. Già all’esecuzione degli inni l’ufficio facce caro a Beppe Viola aveva stanato la barba livida e pensierosa della Pulce. Domenica compie 31 anni. Doveva essere il suo Mondiale. Paradossalmente, lo sarà. Comunque.

Caro 1-0 ti scrivo

Roberto Beccantini20 giugno 2018

Non si può dire che Iran-Spagna sia stata equilibrata, e neppure Uruguay-Arabia Saudita, ma poi vai a leggere il risultato e allora come non detto: 1-0 Diego Costa, 1-0 Suarez e 1-0 pure il solito Cristiano in Portogallo-Marocco, quella sì a fasi alterne e con un portiere, Rui Patricio, sugli scudi.

I gruppi di un Mondiale sono sempre giungle dentro le quali le piccole entrano bellicose e le grandi con quel pizzico di sufficienza che la storia perdona e la cronaca, ogni tanto, castiga. E comunque: su venti partite, solo quattro sono state vinte con due o più gol di scarto. Per il resto, tre pareggi e tredici successi di misura.

Prendete Portogallo-Marocco: c’è chi aveva il centravanti e chi, invece, ha dovuto inventarlo (Benatia, addirittura). Non poteva che finire in un modo: «quel» modo. Idem con la Premiata sartoria Iniesta. Si è chiusa nell’area iraniana e da lì, per lunghi tratti, non è più uscita. Fino al gollonzo dell’Orco e a una rezione che ha portato i guerrieri di Queiroz a sfiorare il gol in un paio di occasioni. E quando Ezatolahi aveva segnato in mischia, sono intervenuti – correttamente – assistente e Var: fuorigioco.

Dall’Islanda all’Iran, i catenacci sono all’ordine del giorno. Aiutano a ingolfare gli spazi e a ridurre le distanze, con il rischio che un rimpallo o una carambola – vedi alla voce Diego Costa – incerotti le gerarchie.

Nessun dubbio che finora la sfida più brillante sia stata Portogallo-Spagna 3-3. Cristiano Ronaldo ha già colpito quattro volte, Leo Messi nemmeno su rigore. E domani sera, Argentina-Croazia: non proprio uno spareggio, ma quasi.

A proposito di equilibrio (!): ho letto che per Joao Cancelo il Valencia ha chiesto 38 milioni e ci sarebbe una società disposta a darglieli. Ho letto male?

Il fuoco amico

Roberto Beccantini19 giugno 2018

Il calcio non si smentisce mai per smentirci spesso. I portieri attraversano un periodo un po’ così. L’allarme era già scattato in Champions, l’eccellenza delle squadre di club. La gaffe di Ulreich nella semifinale-bis tra Real e Bayern, le papere di Karius in Real-Liverpool: la finale, addirittura.

Il Mondiale sta confermando la tendenza. De Gea su Cristiano, Caballero su troppi, persino Alisson impalato e fregato dal Miranda fregato da Zuber. Il piccolo harakiri di Kawashima sulla punizione di Quintero. E Szczesny, lui quoque, coinvolto nell’ingorgo impazzito dei suoi difensori. Giocava nel Milan, Niang, quando a Barcellona, in Champions, colpì un palo che segnò un confine e gli cambiò, probabilmente, il destino. Lanciato in contropiede, tutto solo, prese la mira e cercò l’angolo lontano. Trovò il montante.

L’hanno risarcito i polacchi. Il primo gol a un Mondiale non si scorda mai: quand’anche fosse stato realizzato di stinco o di natica. Ma così, entrando in porta con la palla, non ha prezzo: libidine selvaggia.

Fioccano gli autogol, e questo significa che i portieri devono guardarsi pure dal fuoco amico. Szczesny era già stato tradito da Cionek, la cui carambola tallona da vicino la sforbiciata con la quale l’egiziano Fathi ha liberato l’armata russa.

Gira e rigira, la parata più plateale l’ha compiuta, così, un portiere d’emergenza, il colombiano Carlos Sanchez dopo un paio di minuti: rigore e rosso. Le vittorie del Giappone e del Senegal sono state le sorprese della giornata. Non il 3-1 della Russia ai faraoni di Salah. Continua, a ogni partita, lo «spogliarello» di Aleksandr Golovin, 22 anni, centrocampista di ruolo ma, almeno questa sera, più trequartista che mezzala. Aitante, elegante. Piano con l’enfasi. Se son vodke fioriranno.