Caro 1-0 ti scrivo

Roberto Beccantini20 giugno 2018

Non si può dire che Iran-Spagna sia stata equilibrata, e neppure Uruguay-Arabia Saudita, ma poi vai a leggere il risultato e allora come non detto: 1-0 Diego Costa, 1-0 Suarez e 1-0 pure il solito Cristiano in Portogallo-Marocco, quella sì a fasi alterne e con un portiere, Rui Patricio, sugli scudi.

I gruppi di un Mondiale sono sempre giungle dentro le quali le piccole entrano bellicose e le grandi con quel pizzico di sufficienza che la storia perdona e la cronaca, ogni tanto, castiga. E comunque: su venti partite, solo quattro sono state vinte con due o più gol di scarto. Per il resto, tre pareggi e tredici successi di misura.

Prendete Portogallo-Marocco: c’è chi aveva il centravanti e chi, invece, ha dovuto inventarlo (Benatia, addirittura). Non poteva che finire in un modo: «quel» modo. Idem con la Premiata sartoria Iniesta. Si è chiusa nell’area iraniana e da lì, per lunghi tratti, non è più uscita. Fino al gollonzo dell’Orco e a una rezione che ha portato i guerrieri di Queiroz a sfiorare il gol in un paio di occasioni. E quando Ezatolahi aveva segnato in mischia, sono intervenuti – correttamente – assistente e Var: fuorigioco.

Dall’Islanda all’Iran, i catenacci sono all’ordine del giorno. Aiutano a ingolfare gli spazi e a ridurre le distanze, con il rischio che un rimpallo o una carambola – vedi alla voce Diego Costa – incerotti le gerarchie.

Nessun dubbio che finora la sfida più brillante sia stata Portogallo-Spagna 3-3. Cristiano Ronaldo ha già colpito quattro volte, Leo Messi nemmeno su rigore. E domani sera, Argentina-Croazia: non proprio uno spareggio, ma quasi.

A proposito di equilibrio (!): ho letto che per Joao Cancelo il Valencia ha chiesto 38 milioni e ci sarebbe una società disposta a darglieli. Ho letto male?

Il fuoco amico

Roberto Beccantini19 giugno 2018

Il calcio non si smentisce mai per smentirci spesso. I portieri attraversano un periodo un po’ così. L’allarme era già scattato in Champions, l’eccellenza delle squadre di club. La gaffe di Ulreich nella semifinale-bis tra Real e Bayern, le papere di Karius in Real-Liverpool: la finale, addirittura.

Il Mondiale sta confermando la tendenza. De Gea su Cristiano, Caballero su troppi, persino Alisson impalato e fregato dal Miranda fregato da Zuber. Il piccolo harakiri di Kawashima sulla punizione di Quintero. E Szczesny, lui quoque, coinvolto nell’ingorgo impazzito dei suoi difensori. Giocava nel Milan, Niang, quando a Barcellona, in Champions, colpì un palo che segnò un confine e gli cambiò, probabilmente, il destino. Lanciato in contropiede, tutto solo, prese la mira e cercò l’angolo lontano. Trovò il montante.

L’hanno risarcito i polacchi. Il primo gol a un Mondiale non si scorda mai: quand’anche fosse stato realizzato di stinco o di natica. Ma così, entrando in porta con la palla, non ha prezzo: libidine selvaggia.

Fioccano gli autogol, e questo significa che i portieri devono guardarsi pure dal fuoco amico. Szczesny era già stato tradito da Cionek, la cui carambola tallona da vicino la sforbiciata con la quale l’egiziano Fathi ha liberato l’armata russa.

Gira e rigira, la parata più plateale l’ha compiuta, così, un portiere d’emergenza, il colombiano Carlos Sanchez dopo un paio di minuti: rigore e rosso. Le vittorie del Giappone e del Senegal sono state le sorprese della giornata. Non il 3-1 della Russia ai faraoni di Salah. Continua, a ogni partita, lo «spogliarello» di Aleksandr Golovin, 22 anni, centrocampista di ruolo ma, almeno questa sera, più trequartista che mezzala. Aitante, elegante. Piano con l’enfasi. Se son vodke fioriranno.

Quella normalità improvvisa

Roberto Beccantini18 giugno 2018

Lunedì, in russo, si dice Ponedelnik. E proprio Ponedlnik, cioè lunedì, si chiamava il giocatore che a Parigi, nel giurassico 1960, segnò il gol che fulminò la Jugoslavia e diede il primo titolo europeo della storia all’Unione Sovietica.

Ecco, il primo lunedì del Mondiale ha celebrato il ritorno alla normalità: dei pronostici, almeno. I nostri aguzzini di Svezia avevano buttato giù a spallate e via-Var (rigore «recuperato») la Corea del Sud. Il Belgio, da parte sua, aveva lasciato un tempo al Panama e poi se l’era mangiato: chicca balistica di Mertens (fuori degli schemi, se mi concedete l’ardire); doppietta di Lukaku.

E quindi l’Inghilterra. Ogni volta che scendono in campo i nipoti dei maestri provo sempre un brivido. Devo a loro, in fin dei conti, l’invenzione di questa misteriosa e affascinante roulette che avrebbe scombussolato persino la partita con i tunisini, se proprio all’ultimo giro Harry Kane non ne avesse domato i capricci, lui che già aveva spaccato l’equilibrio.

Il peso del centravanti. Atipico come Cristiano. Forzuto come Lukaku. Classicheggiante come Kane. Per metà gara l’England mi era piaciuta. Velocità, precisione, forza: alla grande. Ma solo un gol. E, soprattutto, il pareggio di Sassi. Con tutto il rispetto: se era rigore il braccino girocollo di Walker, lo erano – a maggior ragione – le «kamasutrate» sul bomber degli Spurs: un paio, come minimo. Invece niente. Né dall’arbitro, né dai varisti.

La ripresa è stata, al contrario, una gomma sgonfia. Per scolpire il risultato gli inglesi, respinti dai pali, sono così ricorsi alla specialità della casa: i calci d’angolo. Sui corner, non serve la poesia: urge la prosa. L’area diventa un ring; e le stazze, pugni. Se poi dalle bolge emerge un tizio in versione Lineker, pronto a cogliere l’attimo, bè, allora la fine è nota.

Non è il calcio di un tempo. Fidatevi: è il calcio di sempre.