L’altro mondo

Roberto Beccantini29 giugno 2018

A «parità» di Mondiale, con l’eliminazione diretta si entra in un altro mondo. I supplementari e i rigori non escludono certi calcoli e neppure certi catenacci, come documenta il diario delle passate edizioni, ma su ogni scelta e su ogni episodio incomberà il massimo della legge: dentro o fuori.

Scritto che in teoria, per laurearsi campioni, potrebbero bastare quattro pareggi e una buona mira dal dischetto, a conferma che nessuna formula è perfetta, vi giro i miei pronostici.

Francia 55% Argentina 45%. Se l’Argentina ha giocato male, la Francia non ha entusiasmato. A ribadire che dipende da Messi non si sbaglia ma si rischia – giustamente – di non essere letti. Prendo la rosa di Deschamps, anche se il bilancio parziale – un gol su azione, uno solo – non è da podio.

Uruguay 55% Portogallo 45%. Chissà perché, sento che la garra charrua di Godin e c. possa imprigionare sua maestà Cristiano.

Spagna 55% Russia 45%. Fra una squadra non sempre di Hierro e il fattore campo, scelgo le sartine con l’orco (Diego Costa).

Croazia 60% Danimarca 40%. Sulla carta, una delle sfide più sbilanciate. A meno che la zavorra del pronostico non schiacci il centrocampo più bello del mondo.

Brasile 60% Messico 40%. Pure qui, i confini sono netti. L’ultimo Brasile è in crescita, l’ultimo Messico in calo.

Belgio 60% Giappone 40%. Talento contro corsa, orgoglio. Il fioretto di Hazard e Mertens, la corazza di Lukaku sembrano proprio scorciatoie. Occhio, però, all’allegria difensiva.

Svezia 51% Svizzera 49%. La partita più sporca, brutta ed equilibrata. A Petkovic manca mezza difesa. Un indizio, forse.

Colombia 45% Inghilterra 55%. In balia del recupero di James Rodriguez, i cafeteros sono una Mina vagante, di nome e di fatto. Torna Kane, torna l’artiglieria pesante. Per questo, England.

L’ex calcio del Duemila

Roberto Beccantini28 giugno 2018

Nel 2010 il Ghana arrivò a una «parata» di Suarez dalla semifinale. Nel 2014 ce n’erano due, negli ottavi: Algeria e Nigeria. Uscirono lì. Nel mondo, l’Africa è ferma ai quarti: Camerun, Senegal e il Ghana di cui sopra. Ed era dal 1982 che non ne portava almeno una oltre la fase a gironi.

Stiamo parlando di quello che definimmo il calcio del Duemila. E’ arrivato il Duemila, non è arrivata l’Africa. Che gli altri continenti continuano a saccheggiare – Europa in testa – offrendo in cambio piani Marshall di dubbia legalità. A ciò si aggiunga la miscela esplosiva di stati tali solo sulle mappe e di regimi politici che, invece di servire lo sport, lo usano. Eppure il primo Pallone d’oro extraeuropeo fu George Weah, oggi presidente della Liberia: giocava nel Milan, era il 1995.

L’ultimo a cadere, in Russia, è stato il Senegal. Aveva gli ottavi in tasca, ha perso con la Colombia dopo averla spesso controllata. E’ uscito per una storia di cartellini che ha premiato il Giappone. La parità assoluta – di punti, di differenza reti, di gol segnati, del confronto diretto – rendeva indispensabile, anche se brutale, un criterio dirimente. Pur di evitare il sorteggio, è stato scelto il fair play (?).

Il Senegal aveva battuto la Polonia (2-1) e pareggiato con il Giappone (2-2). I rimpianti penso che siano concentrati, soprattutto, nella doppia rimonta subìta dagli asiatici e nel rigorino difficile da assegnare – su Mané, contro i cafeteros – ma ancora più difficile da ritirare. L’infortunio di James Rodriguez sembrava un piccolo risarcimento; la schiacciata di Mina, un pivottone di quasi due metri, è stata l’ultima, fatale, distrazione.

A chiamarla «solo» iella, l’Africa corre il rischio di restare sempre il calcio che verrà. E non lo merita.

Imperfetto ma sa soffrire

Roberto Beccantini27 giugno 2018

Del Brasile si dice sempre che non gioca di squadra, che vince grazie ai singoli. E’ successo tante volte, ma non mi pare che stia succedendo in questo Mondiale. Anzi. Ha il portiere (Alisson), una coppia difensiva di navigata malizia (Miranda-Thiago Silva), due lucchetti in mezzo (Casemiro-Paulinho) più Coutinho, finora il «dieci» più brillante, Gabriel Jesus (così così) e il Neymar sempre in volo, metaforicamente e no, un po’ ballerino e un po’ libertino.

La Serbia era un avversario molto fisico, in perenne altalena fra le potenzialità di Milinkovic-Savic e le pause di Ljajic. Ha avuto le sue occasioni, si è presa i suoi rischi ma non dispone del serbatoio di talento che, viceversa, bacia la Croazia. Non le mancano i Mandzukic: le mancano i Modric.

La partita non poteva che essere di lotta, vista la tonnara di centrocampo, prigione dalla quale Coutinho ha fatto evadere Paulinho. Il raddoppio è venuto su corner di Neymar e smash aereo di Thiago Silva.

Mi metto nei panni di Tite: da Dani Alves e Marcelo a Fagner e Filipe Luis il salto non può essere innocuo. Nel calcio moderno, le fasce sono cruciali: in assoluto e, soprattutto, in relazione al traffico del centro. Aiutano ad allargare e snellire l’azione, per questo servono piedi che non siano solo da terzini d’antan, ma molto di più: come, appunto, gli alluci dei titolari, mezzali parcheggiate in corsia. E non trascurate il k.o. del Douglas Costa che aveva aperto la scatola di Costa Rica, un’ala alla quale Allegri ha allungato il campo (o che ha allontanato dalla porta: busta numero uno, busta numero due, scegliete).

In un Mondiale senza padroni, e con i campioni della Germania già fuori, il Brasile ha dimostrato di saper soffrire. Non è un’esclusiva, ma aiuta a crescere.