Il patto quotidiano

Roberto Beccantini31 maggio 2023

Ah, gli esperti (non solo i miei). Sul filone plusvalenze fittizie: mancano precedenti certi, manca una legge, tranquilli. Morale: meno 10. Sul filone stipendi: qui sì che sarà pianto e stridore di denti, allacciatevi le cinture. Morale: 718 mila euro di multa. Fra il partito dell’annientamento e la fazione del rovesciamento, ha vinto – all’italiana – la Juventus del patteggiamento. Che è un po’ colpa e un po’ puntini di sospensione («sempre che non facciate ricorsi: come se qualcuno nascondesse qualcosa, o avesse paura di qualcuno, o di qualcosa. Uhm).

Traduzione: niente cassaforte Champions, la prossima stagione. E, per ora, solo gli spiccioli della Conference che, secondo l’erre moscia dei radical-chic, sta alle altre coppe come la suocera al telecomando. Sempre che Ceferin non le tolga pure quella: ipotesi che, alla Continassa, mi dicono non abbia creato subbuglio né seminato panico.

Quando c’è di mezzo la Juventus, il Paese si spacca. Naturalmente. Geneticamente. Alcuni parlavano addirittura di serie B. Vi giro un brano di Lorenzo Vendemiale de «il Fatto quotidiano», periodista y diario al di sopra di ogni sospetto: «La retrocessione di cui tanto si è parlato a sproposito, non è mai stata seriamente in discussione, e – diciamo la verità – non sarebbe stata neanche congrua: il codice la prevede solo in caso di vizi sulla regolare iscrizione al campionato, e nessuno può sostenere che la Juve di Agnelli non avrebbe potuto partecipare alla Serie A, senza i benefici contabili delle plusvalenze e della manovra stipendi».

E allora? Provate a invertire l’ordine degli «addendi»: meno 10 per la manovra stipendi; ammenda per le «auto-plusvalenze» (nel senso che i partner si aggirano nel vago). In questo caso, ci sarebbero stati meno strilli. Forse.
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Fino alla fine

Roberto Beccantini28 maggio 2023

Sono annate così, colpevoli e disgraziate. Il Milan, che fu campione, solo in campo. La Juventus, anche fuori. Ha vinto la squadra di Pioli: senza toccare i picchi della scorsa stagione, ma capace di sopravvivere, proprio perché squadra, ai limiti della broccaggine. Allegri l’aveva buttata sull’orgoglio, su un 3-4-3 che il cuore spostava oltre la fifa aziendale, ma che fatica liberarsi dalle catene di un’idea troppo passiva e remissiva, che sofferenza.

Siamo sempre lì. Per provarci, Madama ci ha provato. E in alcuni frangenti – nel primo tempo, almeno – persino con buona lena. Ma i problemi (tecnici, tattici) erano e restano troppi. L’Allegri di ritorno: un disastro. Di Maria: lontano da Messi, mamma mia (al di là della posizione); non un guizzo, non un lampo; e l’ennesimo sgorbio sotto porta. Chiesa: non è ancora lui, lo sa, ma se gli chiedi di correre i cento metri come Jacobs, per giunta con un cuoio tra i piedi, beh, insomma, qualcosa non torna.

Allegro, è stato il ritmo. Solo quello. I duellanti si allungavano, i contropiedi e i contro-contropiedi crepitavano da un tackle vinto, da una palla persa. Il tremendismo di Kean e gli inserimenti di Tonali picchiettavano la notte come gocce di pioggia sui vetri di una finestra. L’ha orientata, l’ordalia, una frustata di testa di Giroud, su cross al bacio di Calabria. Il centravanti, toh. Un ruolo che si è ripreso il podio toltogli da «il mio centravanti è lo spazio». Slogan che, paradossalmente, il Pep ha ripudiato per «consegnarlo» a Max. Un’altra storia, vecchia anche questa: tira poco e male, la Signora; e per questo segna poco. I ventelli di Cristiano nascondevano un fracco di equivoci.

Non lo scempio di Empoli. Questo no. Una partita da pareggio, risolta, ripeto, da un episodio, ma quante ne vinceva, di partite così, la Juventus dell’Allegri first?
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Tre verticale

Roberto Beccantini27 maggio 2023

Il punto sulle finaliste.

Inter (Champions): 3-2 all’Atalanta. Tre gol belli e verticali, soprattutto il primo e il terzo, a conferma di un disegno preciso. D’accordo, la Dea era decimata, ma Inzaghino veniva dalla finale di mercoledì. Inizio furibondo (triplete in 9’: Lukaku, Barella e, a ruota, Calhanoglu, gran sventola in fuorigioco). Poi pit-stop, palla agli avversari e zampata di Pasalic nel traffico. Ripresa: mi aspettavo un calo dei «coppisti», invece no, a testimonianza di uno smalto atletico niente male. Contropiede di Lukaku (che palla!), assist di Brozovic a Lau-Toro: e sono 21. Dagli indiani del Gasp, manco una nuvola di fumo: se non agli sgoccioli, su punizione di Muriel e carambola traversa-Onana. Ricapitolando: Inter camaleontica, capace di molto; occhio solo a certi cali là dietro. «Citylife» non aspetta altro.

Fiorentina (Conference)-Roma (Europa League) 2-1. Turnover di qua, turnover di là. Mourinhani a cavallo per un tempo, El Shaarawy subito a segno, su bella azione Belotti-Solbakken. Aveva la partita in pugno, la Lupa. Non l’ha capito, complice l’ostinazione acrobatica di Cerofolini. Calma piatta anche dopo. Sino, almeno, ai cambi di Italiano (Terzic, Kouamé, soprattutto). Se le processioni della Viola sapevano troppo di santo patrono, nel giro di 3’, dall’85’ all’88’, esplodeva il harakiri: o comunque, un’impennata francamente lontana dalle ceneri, tipiede, degli episodi. Da un paio di cross e da un paio di mischie, brillavano, fatali, i pugnali di Jovic e Ikoné. Improvvisamente.