Sakho matto

Roberto Beccantini19 novembre 2013

Come era nei voti, del Pallone d’oro e non, Portogallo-Svezia è stata decisa dai tenori. Fra andata e ritorno, Cristiano Ronaldo batte Zlatan Ibrahimovic quattro a due. Francia-Ucraina, viceversa, se l’è presa un gregario, quella pertica di Mamadou Sakho, 23 anni, ieri al Paris Saint-Germain e oggi al Liverpool. Dallo 0-2 di Kiev al 3-0 dello Stade de France: Sakho, Benzema, autogol di Gusev (spaventato dal Watusso).

Ho seguito proprio questa partita. Incredibile l’auto-tamponamento di uno degli assistenti: a Benzema ha annullato il gol valido e convalidato la rete irregolare. La badante Ucraina non perdeva da undici gare ed era «vergine» da 752 minuti. Fatale, in avvio di ripresa, il rosso a Khacheridi. La trama mi ha riportato indietro negli anni, a quando noi italiani si andava all’estero a difendere i guadagni di una vita: e si passava «di là» esclusivamente dopo l’intervallo, al cambio di campo.

In materia di suicidi, la Francia non scherza. Memorabile quello con la Bulgaria, in casa: le bastava un punto, perse. Deschamps, lui, aveva cannato in pieno la trasferta. «L’Equipe» lo aspettava al varco. Non è un caso che ne abbia ribaltati ben cinque: fuori Koscielny (squalificato), Abidal, Nasry, Remy e Giroud, dentro Varane, Sakho, Cabaye, Valbuena e Benzema. Altra musica.

I gregari, dicevo. Sakho per i gol, mais oui, ma anche per il furore aereo dalle parti di Lloris. Sakho più di Ribéry, che pure ha propiziato la rete dell’1-0 e l’espulsione di Khacheridi. E più di Pogba, efficace nel lavoro di cucito, un po’ meno sotto porta.

Se Sakho ha firmato la partita, Valbuena l’ha scavata. Sembrava indiavolato. Lo ricordo autore di uno splendido gol contro l’Italia di Prandelli, a Parma.

C’erano una volta Platini e Zidane. Dopo di loro, il diluvio. La Francia ai Mondiali non fa notizia. Fa notizia, se mai, il modo in cui ci va. Come se lo avesse vinto.

Primo, prenderle

Roberto Beccantini18 novembre 2013

La Nazionale di Prandelli può battere tutti e perdere da molti. Lo ha ribadito anche contro la Nigeria, nell’ultima amichevole dell’anno. E’ una squadra figlia dei tempi, di un calcio più propositivo e meno difensivo, di equilibri delicati, precari. Palla al piede, da podio. Palla agli altri, da roulette. Quattro partite, quattro pareggi: 2-2 con Danimarca, Armenia e Nigeria, 1-1 con la Germania. Non sono coincidenze, sono indizi.

Balotelli e Rossi mi sono piaciuti: e non solo perché il secondo ha segnato su passaggio del primo. Il «rambismo» dell’uno completa l’agilità dell’altro. La qualità media è discreta, non eccezionale. I fuoriclasse superstiti, oggi, sono tre: Buffon era in panchina, Pirlo è entrato nel secondo tempo, Totti l’ha vista in tv. E vi raccomando l’età: 35 anni Buffon, 34 Pirlo, 37 Totti.

Gode di buona stampa, la squadra di Prandelli. Con la Germania ha rischiato di perdere (tre legni, i tedeschi). Con la Nigeria, di vincere (un palo, una traversa). Non che la Nazionale di Lippi giocasse all’italiana, e neppure quella di Donadoni. Vero, i Mondiali del 2006 li vincemmo con il muro di Berlino (Cannavaro pallone d’oro, Buffon secondo). A Dortmund, però, finimmo con Iaquinta, Totti, Del Piero e Gilardino (più Pirlo).

Il problema odierno è, paradossalmente, la difesa, titolari o riserve non importa. Siamo teneri, siamo vulnerabili nel gioco aereo. La Nigeria riassume i misteri e gli eccessi di quell’Africa che avrebbe dovuto occupare il calcio del Duemila e invece continua a bivaccare alla periferia delle semifinali mondiali (quando va bene).

Molti, tornando alla scuola italiana d’antan, trascurano i cambi di regolamento. Se la mentalità la scosse Sacchi con il suo Milan, i tre punti per vittoria e tutti gli incentivi che, dal 1990, hanno baciato gli attaccanti, dal fallo da ultimo uomo al fuorigiochicidio, hanno sabotato i tradizionali rapporti di forza.

Questa, poi

Roberto Beccantini15 novembre 2013

Questa, poi: triangolo Abate-Bonucci-Abate e gol di Abate. Se i giorni sono lunghi, gli anni volano. Ricordo la «Cermania» di Seeler e Hrubesch, di Fischer e Rummenigge, e poi di Klose, l’ultimo dei mohicani. Oggi spopola il guardiolismo, la caccia al falso nueve. Non più crescendi wagneriani ma sbadiglianti minuetti. Per la cronaca, Prandelli di centravanti ne aveva due – Balotelli, Osvaldo – e non è che l’Italia della tradizione abbia fatto di più o di meglio.

Ritmata da un pressing dolce, è stata una sfida con tanto di codice bisbetico nella coda, protagonisti Kroos e Thiago Motta. Migliore dell’Italia, Pirlo. In ripresa, Marchisio e Criscito. Oltre il gol, Abate. Né carne né pesce, Montolivo. Preziose le bollicine di Candreva. E poi Bonucci-Malucci: la sponda del pareggio, la svirgolata del possibile harakiri. Balotelli, lui, ha lottato con se stesso e poi con gli avversari. Risultato, un paio di punizioni. Zitti zitti, i tedeschi hanno colpito tre legni, il terzo proprio agli sgoccioli degli sgoccioli (e sugli sviluppi, ci hanno letteralmente graziati).

Era un’amichevole, d’accordo, ma Italia e Germania fanno sette Mondiali in due. I panzer non ci hanno mai sconfitto a un Mondiale o a un Europeo e, in assoluto, non ci battono dal 21 giugno 1995. Fatalità un corno: questa volta, però, siamo stati fortunati. Più in generale, credo che il celeberrimo 4-3 dell’Azteca abbia capovolto i rapporti di forza, almeno su un campo di calcio. La nostra ambiguità tattica ha messo in crisi le loro certezze, quel senso di disciplina ferrea, da caserma, che hanno sempre coltivato. Nella testa del ct Loew la rinuncia alla «torre» è stata una mosssa che rispecchia lo spirito del tempo, anche se Conte, alla Juventus, sta facendo proprio il contrario, Tevez più Llorente. Domani è un altro schema, si vedrà.