Abolire la Lega

Roberto Beccantini21 gennaio 2013

Il Belgio è stato senza governo per 540 giorni e non risulta che sia scomparso dalle mappe. Mai una volta che simili «calamità» colpiscano noi. Non penso alla politica, ma allo sport e alla politica dello sport. Penso, soprattutto, ai dirigenti e alla Lega calcio. Siamo proprio sicuri che, se la abolissimo, la Federazione non ce la farebbe a organizzare i campionati (e gli gnomi di Singapore a taroccare comunque le partite)?

Abbiamo una classe di dirigenti senza classe. E, soprattutto, sempre quelli. Carraro, ex di sé stesso fin dalla culla. Geppetto Petrucci e i suoi Pinocchi della pace; Abete, «incompetente» fino a vecchio ordine. La Lega, in compenso, è un allegro bodello all’interno del quale cambiano i tenutari, ma non le abitudini. Ai tempi della Triade, Adriano Galliani era presidente, oggi è vice. Presidente, dimissionario dal 2011, è sempre Maurizio Beretta in quota Unicredit/Roma. Siamo passati dall’alleanza Juventus-Milan, vittoriosa fino a Calciopoli, alla ditta Inter-Juventus, sconfitta nelle urne di venerdì. Tra i consiglieri freschi freschi, spiccano il pluri-condannato Enrico Preziosi, nonché Claudio Lotito, un anno e tre mesi per froda sportiva in primo grado a Napoli; per tacere di Massimo Cellino, il boss del Cagliari che da Miami, via fax, invitò i tifosi a riempire lo stadio chiuso dal prefetto.

Ai leghisti interessano soltanto due cose: il rigore e i quattrini. Al primo provvedono gli arbitri; per la distribuzione dei secondi, basta farsi prestare dal Cavaliere il ragionier Spinelli. Dunque: si sciolga la Lega e si trasferiscano i compiti in Figc. Certo, in via Allegri (allegri?) servirebbe un presidente forte, non un Abetino. Se però anche Andrea Agnelli che tanto sbraita l’ha votato, il presidente della Juventus non sarà «la zitella isterica in crisi di astinenza» dipinta dal fosco e volgare Pulvirenti, ma neppure, o non ancora, lo statista che i suoi tifosi sognano.

Il paradosso

Roberto Beccantini19 gennaio 2013

Sarà anche «lezioso», Paul Pogba, e qualche volta lo è, ma a 19 anni – con l’aria che «tira» – incarna un progetto di fuoriclasse. Lo so, scopro l’America. Qualità esplosive, come hanno documentato i due gol (soprattutto il primo: un missile) e quello che realizzò al Napoli. Con il Bologna aveva segnato di testa. C’è chi lo paragona a Vieira e chi a Rijkaard. Contro l’Udinese, ha giocato nella posizione di Pirlo. Alla sua maniera: tocchi felpati e bombe da tre (basket docet). Un’arma in più.

Non era una partita facile; è diventa, viceversa, facilissima. Guidolin celebrava le 500 panchine in serie A, l’Udinese veniva da una sconfitta in tredici gare. Le mancavano Brkic e Benatia. Di Natale è entrato nella ripresa. Come non detto: un po’ di bollicine fino allo 0-2, l’Udinese, e poi una resa tipo Lazio all’Olimpico. La capolista era senza Asamoah, Chiellini, Marchisio e Pirlo. Reduce da due rimonte, e da un punto in due partite, tutti noi l’aspettavamo al varco. Le secondo linee, questa volta, hanno retto: da Caceres a Giaccherini. Ho rivisto una gamba abbastanza sciolta: le «dimissioni» rassegnate contro la Sampdoria sembrerebbero rientrate.

Il paradosso coinvolge gli attaccanti, non l’attacco. Che è il più prolifico del campionato (45 gol). Giovinco è stato sostituito per disperazione; e Vucinic, per disperazione, tenuto. Il montenegrino e Matri hanno poi arrotondato il risultato. Cavani, capocannoniere assoluto, ne ha firmati 16. I migliori bomber della Juventus sono Giovinco e Quagliarella, con 6. Il centrocampo continua a fornire un rapporto mostruoso. Vincere uno scudetto con l’attaccante più prolifico così lontano dal podio (Ibrahimovic 28 gol, Matri 10), è stata un’impresa; figuriamoci due di fila (se).

Rimangono misteriose, almeno per me, le ragioni che hanno spinto sir Alex Ferguson a mollare un giovanotto di talento come Pogba.

Che bordello

Roberto Beccantini18 gennaio 2013

Il mio pronostico era: da meno due a meno uno, più una sforbiciata ai sei mesi di Paolo Cannavaro e Gianluca Grava (come nel caso di Antonio Conte). Ne avessi azzeccata una. A occhio, il dossier della Lazio e di Stefano Mauri mi sembra un po’ più grave, ma con l’aria che tira credo che anche alla procura di Cremona siano orientati a scommettere sul proscioglimento.

D’altra parte, se Giancarlo Abete, che aveva confermato Stefano Palazzi, è stato confermato da Andrea Agnelli, che aveva parlato di «sistema dittatoriale», e da Aurelio de Laurentiis, che fino a giovedì odiava questo tipo di giustizia (adesso, non saprei), tutto torna, tutto si tiene.

Attendo con curiosità le motivazioni per capire come sia stato possibile declassare il tentato illecito di Matteo Gianello, reo-confesso sia in ambito penale sia in ambito sportivo per Sampdoria-Napoli 1-0 del 16 maggio 2010, a mero atto di sleatà sportiva. Mica male, come capriola. E’ stato il cavallo di Troia per salvare il Napoli a costo di violentare la responsabilità oggettiva. In passato, sarebbe bastato quanto emerso, oggi non più. Un passo avanti?

Non ci si capisce più niente, e questo, parlando di giudici e di giustizia, non è il massimo. Immagino la rabbia di Sampdoria e Torino che, coinvolti in casi similNapoli, patteggiarono un punto di handicap. In circostanze pressoché analoghe, Stefano Palazzi, la disciplinare e la corte federale avevano picchiato e alluso (ah, San Dulli) in termini più duri, più perentori.

Ripeto: molti pesi e molte misure, avvitamenti, contorsioni, deferimenti a rate, sconti. Scommessopoli, nel tempo, è diventata l’ennesimo bordello all’italiana. Che pacchia, per gli zingari, questa giustizia che allontana sempre più le società dai tesserati. D’ora in poi, o la valigetta in mano (ma di Preziosi ce n’è uno solo) o liberi tutti. Il Tnas sta già provvedendo.