Ognuno al suo posto

Roberto Beccantini5 marzo 2024

Over the rainbow della propaganda, sono comparsi i valori. Bayern tre, Lazio zero. Bayern ai quarti di Champions, Lazio a casa: con la malinconia di chi, più debole, almeno ci ha provato. Dagli sgorbi di Upamecano agli affreschi di un branco tornato squadra: ognuno al suo posto. Il rigore di Immobile era scudo fragile: si sapeva. E proprio Ciro, al 37’, si mangiava, di testa, una rete che chissà cosa avrebbe prodotto. Anche perché, poco dopo, Harry Kane, fin lì ombra, buggerava di crapa Provedel (ahi, ahi). E agli sgoccioli del recupero, ecco De Ligt e castigo (non è mia, è del gentile Bilbao) correggere al volo l’ennesimo corner e Thomas Muller inzuccare sotto misura.

Fine della trasmissione. Dicono che Tuchel sia ormai alla frutta: e che Muller ne abbia raccolto il megafono. Rimane la prestazione: la migliore della stagione. Come ha ribadito la terza ciliegina di Kane, in tap-in. Sarri se l’è giocata con le sue idee (4-3-3 sempre e comunque: uffa) e con i piedi dei suoi guerrieri. Piano piano, gli avversari ne hanno accerchiato il fortino e svuotato il taccuino.

Le serpentine di Musiala (classe 2003), la regia calma ma non lenta di Pavlovic (2004), la birra di Kimmich, le volate di Sané, i cingoli di Goretzka: alta categoria. Sul fronte opposto, il massimo possibile (di Luis Alberto, di Felipe Anderson, di Zaccagni, del capitano) non poteva essere, oggettivamente, il massimo che serviva. Neuer, zero parate. E da Muller, animatore della serata, pure un palo.

Già persi «scudetto» (il primo dopo undici consecutivi) e Supercoppa, già fuori dalla Coppa domestica, al Bayern non resta(va) che l’Europa. L’ha messa su un ritmo-ragnatela che finiva per invischiare e scoraggiare una Lazio tradita, anche, dai ruttini delle punte. Il mio pronostico era: 60% a 40% per il Bayern. «Ist das Leben»: è la vita.

Campa cavalla

Roberto Beccantini3 marzo 2024

Dalle rimonte, strepitose, del Manchester City nel derby (da 0-1 a 3-1 allo United) e del Bologna a Bergamo (da 0-1 a 2-1), un Bologna di lotta (nel primo tempo e dopo il sorpasso) e di governo (in avvio di ripresa), alla sesta vittoria di fila, eccoci al Maradona. Il Napoli ha regolato la Juventus. Succede ormai da cinque stagioni. E il 13 gennaio 2023, addirittura per 5-1.

Questa volta, «solo» 2-1. E al pelo, per giunta. Calzona ha recuperato Osimhen (che duello omerico, con Bremer) e svegliato Kvara. Non sarà più l’orchestra sinfonica di Spalletti, ma il 6-1 del Mapei gli ha tolto un po’ di zavorra: non è tutto, non è poco. Madama ha lasciato il possesso agli avversari, e questa non è una novità. La notizia è il numero di palle-gol costruite e sprecate: tre da Vlahovic nel primo tempo (la seconda sul palo), due nella ripresa (da Cambiaso e Rugani). Non che i rivali non abbiano avuto le loro: ma meno e, sinceramente, meno plateali.

Privo di McKennie e Rabiot, i garretti della squadra, Allegri potrà sempre consolarsi con la cavalla vittoriosa a Capannelle, oltre che con il fatturato offensivo e le orme di pressing. Calzona, con un risultato che vale oro perché sofferto sino all’ultima mischia, tra gli sgorbi di Olivera e Traorè. Ebbene sì, Madama avrebbe meritato di più.

L’equilibrio, lo aveva spaccato l’improvvisa volée del georgiano, complice uno stinco di Cambiaso. Il pareggio di Chiesa si concretizzava poco dopo il trasloco dal 3-5-2 al 4-3-3 (toh). Gran destro filante, su tocco di Alcaraz, titolare d’emergenza. I cambi hanno orientato il verdetto. Raspadori, Nonge. L’ingenuità del diciottenne – pestone a Osimhen, spalle alla porta – portava a un rigore che Szczesny parava a Osimhen ma non a Raspa. Per la cronaca, il primo penalty contro della stagione. Il calcio è così. Come diceva Nuccio Parola, «chi segna fa gol».

C’era una volta il campionato

Roberto Beccantini29 febbraio 2024

Più 12 sulla Juventus, più 16 sul Milan. C’era un volta il campionato. Mister Spiaze ha trasformato l’Inter in una gioiosa macchina da guerra: 4-2 alla Roma, 4-0 alla Salernitana, 4-0 a Lecce, 4-0 all’Atalanta. Sì, poker pure a una Dea in versione un po’ così, bravina in avvio ma poi sculacciata dal Var (mani-comio di Miranchuk sul gol annullato a De Ketelaere; palla in gioco, nonostante la bandierina alta dell’assistente, sul rigore di Hateboer) e asfaltata, alla distanza, da avversari che, se non li placchi, non si placano mai. Sino all’«allenamento» di commiato, parole e musica del Gasp.

Darmian, Lau-Toro (di sinistro, al 23° sigillo), Dimarco (sul penalty che Carnesecchi, uhm, aveva respinto al capitano), Frattesi (su assist di un Alexis Sanchez i cui spiccioli non sono più banali). Dalla bellezza del Napoli di Spalletti alla bellezza dell’Inter di Inzaghino: persino il Pep è uscito allo scoperto.

A proposito dei campioni d’Italia: 6-1 al Sassuolo di Bigica (e non più di Dionisi). Acuto di Rrahmani, tripletta di Osimhen, doppietta di Kvara. E se qualcuno osa parlare di «Scansuolo», peste lo colga: l’Inter di Mazzarri gli inflisse un doppio 7-0, la Juventus «senza allenatore» un 7-0 pure lei; il Milan impiegò un quarto d’ora per cingersi dello scudetto. Guai a voi, anime prave.

Piuttosto: torna dall’Africa il Re Leone e gol al Barcellona, gol a Cagliari, abbuffata al Mapei. Chi l’avrebbe mai detto? Tre pere di Dybala, e ciao Toro. Ma no? Haaland, cinque reti al Luton Town in coppa, e il «Guardian» scrive che, in suo onore, Guardiola ha reso più verticale la manovra. Dal centravanti spazio al centravanti ciccia. E, dunque, meno ricamini. Questa, poi.

Un paziente mi riferisce che Leao avrebbe scelto il dieci «anche» in onore di Del Piero. Per fortuna c’è ancora religione.