Franza o Spagna purché se magna

Roberto Beccantini6 luglio 2024

Sic transit rigor mundi. Diogo Costa: dal tre su tre con la Slovenia allo zero su cinque con la Francia. L’ultimo, di Theo Hernandez. Decide, così, il palo di Joao Felix. Era finita 0-0, ad Amburgo, con un paio di parate di Maignan, un paio di occasioni dei bleu e un paio di sgorbi di Leao e Cierre. Sarà 5-3 per l’archivio. Peggiori in campo, Cristiano Ronaldo (39 anni) e Kylian Mbappé (25). Un museo chiuso che ormai apre solo per i penalty: e difatti il suo lo ha realizzato. Un lampo che la maschera ha ridotto a nuvola bigia. Deschamps lo ha sostituito, addirittura: e Barcola, dal dischetto, gol come se niente fosse. Coraggio o non coraggio, una mossa, un’idea.

Non è stata una notte memorabile. Tutt’altro. Dalle scaramucce introduttive agli extratime. Dembélé e Francisco Conceiçao un po’ di polvere l’hanno alzata, vero, ma il rispetto era presto diventato paura; e la paura, palleggio portoghese e contropiede francese. Dopo cinque gare, i vice re del Mondo devono ancora segnarne uno su azione, fermi come sono a 2 autogol (Austria, Belgio) e al rigore «polacco». Allons enfant du museau court. Martinez, lui, ha stappato, per un tempo, il miglior Leao del torneo, ma dimenticato colpevolmente Diogo Jota (e pure Gonçalo Ramos). Lo so che sostituire un Marziano non è facile, ma già con la Georgia non provare un piano B fu un errore.

** A Stoccarda, Spagna-Germania 2-1 dts (Dani Olmo, Wirtz, Merino). Che partita. Non bella, soprattutto nel primo tempo, ma poi croccante, guerriera, sempre sul filo di equilibri audaci, sottili, sporchi. I rigori sarebbero stati sentenza più equa, ma il calcio non è scienza, è gol. Dani Olmo, autore della rete che aveva spaccato lo zero, di destro, su tocco di Yamal, ha pennellato un cross per il mago Merino, la cui torsione, ronaldesca, ha travolto e stravolto la trama. Era il 119’. Poco dopo, incornata di Fullkrug,
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Stopper and go

Roberto Beccantini2 luglio 2024

L’aeroplanino, non il Boeing. Il professorino, non der professor. Montella, non Rangnick. Tenetevi forte: Austria-Turchia 1-2. A Lipsia, fra cose che voi umani, ricordate Blade Runner? Per esempio: la doppietta di Demiral, ex Sassuolo, Juventus, Atalanta, guerriero della tribù degli stopper antichi, quelli che ai guanti hanno sempre preferito i guantoni; i ricami di Arda Guler e il su e giù – non subito, ma abbastanza – di Yildiz; e, al minuto 94’, il miracolo di Gunok sulla capocciata di Baumgartner. Miracolo è forse poco. In mezzo, la rete di Gregoritsch, un cambio, era il 66’ e da lì in avanti catenaccione attorno a quei pirati di Demiral e Bardakci (ma che bravo, il terzino sinistro Kadioglu). Mancava Çalhanoglu. Titolo dei tabloid: una nazione ha sconfitto una nazionale. Montella, unico italiano ancora in lizza (con Orsato). Difesa a cinque, Guler falso nueve, Yilmaz largo: monetine che hanno gonfiato il salvadanaio.

Turchia, Bosforo e fosforo. E l’Austria? Se attacchi un muro, o t’inventi un cavallo di Troia (traduzione: la genialata del singolo) o sono cavoli amari. Scienziati o minestrari, non importa. Certo, senza il carpiato del portiere avrei riscritto il cappello, come feci a Boston per Nigeria-Italia dopo il pari del Codino, ma il risultato è sentenza ovunque, figuriamoci in un ottavo degli Europei. Curiosamente, tutti da calci d’angolo gli squilli. E, a differenza di Gunok, troppo ingessato Pentz. Ah, le sfumature.

** A Monaco, Romania-Olanda 0-3 (Gakpo, Malen, Malen). Un quarto d’ora di ritardo accademico, con la scolaresca romena a far casino, e poi la lezione. Tremenda. Lo scarto non spiega la profondità degli argomenti. Gakpo, gol e assist, doppietta di Malen. In bellezza, in scioltezza. A tutto campo. Reijnders e Schouten dominanti a centrocampo,
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Da una lacrima sul viso (e sull’ego)…

Roberto Beccantini2 luglio 2024

Perché a un certo punto ci dimentichiamo di tutto, di tutti e – amatori o odiatori – ci mettiamo lì a pregare, a gufare? Perché il calcio è così. Un’Iliade di 120 minuti, un’Odissea di rigori, con Cristiano Ronaldo che da Achille diventa Ettore e poi torna Achille, al diavolo i 39 anni e i talloni. Ai quarti va, così, il Portogallo, domatore solo al tiebreak di una Slovenia che, senza essere stata Pogacar, gli ha tenuto testa fino all’ultimo tuffo di Diogo Costa, l’eroe nascosto da Omero, fino all’ultimo sibilo di Orsato.

Zero a zero e poi, d’improvviso, tre a zero. Che notte, la notte di Francoforte. Prigionieri dell’ego di Cristiano, e Cristiano prigioniero del suo ego. Le punizioni? le tiro io; di testa? ci vado io; il penalty nei supplementari? a me la palla, please. Il balzo di Oblak, e il rimbalzo sul palo, esulavano dal copione. Possibile? Ma certo. E allora vai di lacrima – lui in campo, la mamma in tribuna – con i compagni che, nel ricordo delle strenne antiche, cercavano, tutti intorno, di incollarne il morale, di raccoglierne l’orgoglio sanguinante. Ostaggi di un marziano: ma spesso, ai suoi bei dì, felici di non evadere.

Intanto, la partita continuava. E Benjamin Sesko, 21 anni, si mangiava un «rigore» in movimento, quasi uno shot-out Usa e getta, non meno portentoso, non meno clamoroso. La porta, gliel’aveva spalancata Pepe (41 anni), nell’unico attimo in cui l’età ne aveva preso a calci la malizia, e chiusa, al culmine di una cavalcata da film western, l’intruso alla sparatoria. Diogo Costa.

Il Portogallo di Martinez, padrone monotono della trama. La Slovenia di Kek, arroccata ma pavida no, mai. Le bollicine di Cancelo, le sportellate di Bijol. Coriandoli di una vita fa. La coda dei penalty ha ristabilito le gerarchie
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