Sabato di patteggiamenti

Roberto Beccantini15 February 2025

Sabato di patteggiamenti: dai tre mesi di Sinner-Wada al 2-2 di Lazio-Napoli. Storie diverse. Storie tese. L’Aquila parte in quarta e sblocca al 6’, con un sinistro ciclonico di Isaksen, già a segno al Maradona, innescato da una zuccata un po’ così di Rrahmani. Non meno sciagurato, il rinvio di Provedel che, al 13’, rimette a cassetta ‘o Napule: Raspadori-Lukaku-Raspadori, controllo di destro e rasoiata di sinistro fra le gambe. In piedi.

Baroni perde Castellanos, Conte rispolvera il 3-5-2 per fronteggiare la «strage» mancina: Kvara, Neres, Olivera, Spinazzola. C’è Mazzocchi, non «ancora» Politano. «Non ancora», perché entrerà nella ripresa e propizierà l’autogollonzo di Marusic. E dal momento che nessuno si risparmia – e, tanto meno, va risparmiato – ecco Dia, dato per moribondo. Sarà proprio lui a firmare il tabellino in capo a un’azione arrembante, in linea con le ondate della squadra. Isaksen, per la cronaca, si era mangiato un bis non facilissimo ma nemmeno proibitivo. E un pugno di centimetri aveva invalidato una splendida acrobazia di capitan Zaccagni.

La partita è stata vibrante, scolpita da transizioni rapide e coltellate brusche. I duellanti non hanno mai rinunziato a darsele. E’ il calcio: scrigno, da sempre, di prodezze e strafalcioni, di do di petti e do di chiappe. Per il Martello salentino è il terzo pari di fila, dopo Roma e Udinese. In settimana, da incallito giocatorista, molto aveva pianto su certe fughe e certi arrivi (Okafor, a naso). E pure stavolta, per la penuria di cambi. A proposito: uscito Mazzocchi, Politano a sinistra e patatrac. Il minuto della sentenza (87’) lo avrà mandato fuori di testa – come con la Lupa, a un passo dalla gloria – ma Baroni, già vincitore all’andata, braccava un epilogo che, oggettivamente, i suoi hanno strameritato.

Sbraccio matto

Roberto Beccantini12 February 2025

Veleni, papere e due sconfitte (ribaltabili): dall’andata degli spareggi di Champions, con vista sugli ottavi, esce un gran fumo.

** Bruges-Atalanta 2-1 (Jutglà, Pasalic, Nilsson su rigore). Quel penalty lì, per una sbracciatina di Hien a Nilsson, per giunta al 92’ e naturalmente trasformato dallo svedese, non lo avrei mai dato. Il problema è che fuori area, in casi simili, fischiano spesso punizione, complice lo svenimento dello sfiorato, con il replay che, goloso, spinge molti di noi a giustificare l’arbitro. Dall’alba dei Novanta la Fifa ha consegnato il potere agli attaccanti: fingere, sarebbe ipocrita. Peccato, perché la partita era stata «piena», il Bruges padrone per i primi 30′ dei due tempi – pressing e gegenpressing, transizioni e trasvolate tipo Concorde – e la Dea reattiva alla distanza, soprattutto. Gasp, furibondo, aveva spostato De Ketelaere da destra a sinistra, più vicino al leonino Retegui, aggiustato la posizione di Posch e inserito forze fresche, come Cuadrado. Non meno di tre occasioni: di Zappacosta e del belga, sventate da Mignolet, e quella, clamorosa, ciccata da Samardzic. In una trama degna di Edgar Allan Poe mancava un tocco di De Amicis. Eccolo: l’ovazione conclusiva a Charles, indimenticato Garrone du pays.

** Feyenoord-Milan 1-0 (Paixao). Subito, i quattro ballerini (Pulisic, l’ex Gimenez, Joao Felix, il simulante Leao): tutti sotto la sufficienza. E, alla fine, Chukwueze, Abraham e Camarda: sette punte per zero palle gol. Batavi in versione Bruges: feroci e rapidi fino a esaurimento del serbatoio. D’accordo, la papera di Maignan, ma vi raccomando il Paixao meravigliao: gol, traversa, dribbling. Il migliore del Diavolo è stato il Gatti di «Sergiao»: Pavlovic. Uno stopper. E la fantasia millantata? Per carità. Se gli equilibri sono così sbilanciati, tanto da ridurre il raggio di Reijnders, o palleggio o numeri. Al de Kuip, né l’uno né gli altri.

Texas e nuvole

Roberto Beccantini11 February 2025

Juventus-Inter di domenica è cominciata, ufficialmente, al 52’ di Juventus-Psv Eindhoven, con il gol di Ivan Perisic, sinistro graffiante dopo aver coricato Kelly (oh my God). Chapeau. Stava vincendo, Madamin, con merito e aggressività. La rete, l’aveva siglata Texas McKennie – di destro al volo: ri-chapeau – in capo a uno «sbarco» guerriero di Gatti (ebbene sì, the best).

Il 17 settembre finì 3-1. Sembrò, quel pomeriggio, un’alba. Penso a Yildiz: delpieresco nel pittare il «tiraggiro» e, stavolta, raddoppiato e abbandonato. Al suo posto, Mbangula. Fino all’82’, peggio del turco. Poi, strappo di Conceiçao, sballo di Benitez e bisturi in pancia. Le vie del calcio sono proprio infinite.

Era l’andata degli spareggi per gli ottavi di Champions: 2-1, dunque. Ritorno, il 19 febbraio a casa Philips. Sarà dura, molto dura. Per Thiago, terza vittoria di fila. L’equilibrio lo hanno spezzato gli episodi. Male Nico, al piccolo trotto Douglas Luiz; Kolo Muani dalla luna alla terra; Vlahovic, il sostituto, un bottiglione di generosità. Senza dimenticare, per un tempo, le discese di Weah.

Infortuni da una parte e dall’altra; e la Maginot di Motta, in pratica, nuova di zecca. Come le succede spesso, la Juventus ha trasformato lo starnuto del pari in un febbrone da cavallo. Timida, scossa, in crisi di fiducia. Non che i batavi avessero appiccato fuoco all’area di Di Gregorio (anche se Perisic, al 90’, avrebbe dovuto tirare e non passare). Questo no. Ma addio recuperi rabbiosi, addio controllo delle operazioni. Sino allo scambio dei due staffettisti, Conceiçao-Mbangula.

Koop, in versione carro attrezzi, ha vagato in sordina. Meglio lo spirito di Thuram e la carne di Veiga. Non rammento parate memorabili. Resta uno scarto, corretto, che non è sentenza. Per uscire dal labirinto Thiago avrebbe bisogno di una Arianna: a naso, dovrebbe essere lui.