Vaghe stelle dell’Orso

Roberto Beccantini20 April 2025

Le Pasque di Bologna e Inter sono sempre al sangue (e, per fortuna, mai «di sangue»). Questa, l’ha risolta Orsolini, in mezza rovesciata, al minuto 94. Orsolini, un cambio. Come Bisseck, che aveva sbucciato la palla del cross, con le treccine, offrendola al suo sinistro. E allora: aggancio al vertice (Inter e Napoli 71) e sorpasso in zona Champions (Bologna 60 e Juventus, in attesa di Parma, 59).

La gloria pesa. E i campioni, senza Dumfries e Thuram, venivano dalla battaglia con il Bayern, senza Musiala e «Kompany». La partita è stata ispida, sporca, equilibrata, con poche occasioni e una gran tonnara ovunque (e comunque). Italiano, espulso al pari di Farris, è un «dentista» alla Gasperini, avanti di pressing e di trapano. Ha costretto l’Inter a togliersi lo smoking alla James Bond e infilarsi la tuta alla Cipputi. Sono state le staffette a forzare il destino. In particolare, Cambiaghi e l’Orso. Aveva perso a Bergamo, il Bologna, a rimorchio di un inguardabile Lucumi: di botto, tra i migliori in campo.

Se al Dall’Ara il Napoli di brontolo Conte aveva sofferto e pareggiato, a Monza, ieri, sembrava ancora succube pallido e pavido dei sermoni del suo tecnico. Mancano cinque giornate e il calendario costringe Inzaghino, fin da mercoledì sera (derby di coppa, da 1-1), ad assorbire in fretta la rabbia e voltare pagina ancora più in fretta. Poi la Roma, poi il Barça.

Canta Napoli, canta Bologna al ritmo di Lucio Dalla e del rock di Italiano, tre finali con la Viola e il viso patibolare del falegname di emozioni, oltre che di erezioni. L’aveva studiata bene, e l’ha realizzata meglio. L’Inter è calata di netto nell’ultimo quarto d’ora, sulle ceneri di una carica di Lautaro a Ravaglia. Certo, Correa titolare e Arnautovic in panca fanno sempre impressione. E naturalmente: Bologna da Champions.

Resistere, resistere, resistere

Roberto Beccantini16 April 2025

Ancora Barcellona e Inter in semifinale, dunque: come l’anno del triplete di Mou. Dopo il 2-1 in Baviera, la squadra di Inzaghino strappa un 2-2 non meno tribolato, non meno guerriero. Tra pioggia, vento e lampi (in campo). La Champions sa essere spietata, non sempre bacia il possesso (63% a 37% per i «crucchi»): bada al sodo, corteggia gli episodi. E il cuore.

Il simbolo è stato Lautaro. Pasta di capitano. Non solo per il gol: per tutto. Kompany rendeva ancora fior di titolari, Musiala in testa, e ha cominciato requisendo il pallone. Con il catenaccio dell’Inter ad assorbirne il torello, e il contropiede ad agitare le onde, appena possibile.

Si aggirava, Kane, come una cartolina a sé stesso. D’improvviso, al 52′ o giù di lì, un destro alla vecchia maniera, in anticipo su Dimarco. Ops. Ma ecco la reazione, fulminea come martedì scorso, quando il Bayern cominciava a pensare, immagino, alla finale nel salotto di casa. Due angoli (di Dimarco, di Calhanoglu), la zampata del «Toro» (che mai avrei tolto) e la capocciata di Pavard, un ex.

Ari-ops. Fatta? Kimmich, Laimer e Olise (a differenza di Sané e Goretzka) hanno ripreso a premere, pirati barbosi ma cocciuti. Il pari aereo di Dier, pilotato da Eolo, apparecchiava un epilogo bollente, scabroso. I cambi (Gnabry, Coman) davano spinta. Sul fronte opposto, Thuram boccheggiava e Bastoni, stremato, usciva. Dalle parti di Sommer fischiavano cross, si accendevano bolge e candele. Il Bayern è il Bayern, dalla difesa un po’ così ma dalla benzina che non finisce mai.

Da qui a maggio, ogni sfida moltiplicherà il concetto di battaglia, già domenica di Pasqua a Bologna e poi mercoledì con il Milan di coppa (da 1-1). Battaglie, ma anche stimoli. Perché essere in lizza su tutti i fronti, unica italiana, questo comporta: soffrire e sognare.

Prima al dente, poi dormiente

Roberto Beccantini12 April 2025

Juventus al dente per un tempo e dormiente per l’altro. Morale: se non proprio la «solita», quasi. Di fronte, Tudor aveva il peggior attacco del campionato. Eppure il Lecce, ridisegnato da Giampaolo a tre dietro, ha sfiorato il pari subito dopo l’1-0 con Krstovic (palo più paratona di Di Gregorio) e, nella ripresa, con Rebic (altro «muro» del portiere), prima della zuccata di Baschirotto, all’87’. Non senza un paio di scelte arbitrarie dell’arbitro (su Krstovic in area, su N’Dri al limite).

Rischiare di sprecare gli assist di Vlahovic (ebbene sì), il bel gol di Koopmeiners e il cesello di Yildiz, in capo a un titic-titoc verticale che avrebbe inorgoglito persino la Masia, è stato un peccato quasi mortale. L’assenza d’Europa non dovrebbe portare a flessioni così palesi: di gambe e di testa.

Restano i 45’ di fuoco, perché aggressivi e ficcanti, a ritmi che finalmente hanno coinvolto e stimolato «Flopmeiners». Quando difendi alto, guai se perdi palla – come Nico in avvio e poi Thuram – o se, uomo su uomo, scivoli male o scappi peggio. I cambi di Igor non hanno sanato il deficit di gestione che la trama cominciava a denunciare. Per carità, non sono mancate le occasioni che avrebbero potuto – e dovuto – «moltiplicare il vino» (ministro Lollobrigida)- ma dal momento che stiamo parlando di Juventus-Lecce e non di Juventus-Real, non si può non privilegiare la sofferenza conclusiva alla superiorità manifesta(ta). Anche se con Cagliari, Parma e Venezia allo Stadium era finita pari.

** Inter-Cagliari 3-1 (Arnautovic, Martinez, Piccoli, Bisseck). Classica tappa di trasferimento, scortata da modiche turbolenze (in particolare, la gran parata di Sommer su Piccoli sull’1-0). Hombre del partido, Arnautovic: gol e super-assist. In generale: spruzzata di turnover e pilota automatico. Il Bayern, 2-2 con il Borussia Dortmund, è avvisato: ammesso che ne avesse bisogno.