Polli alla diavola

Roberto Beccantini28 October 2025

Spruzzate di «nona», non esattamente salgariane.

** Atalanta-Milan 1-1 (Ricci, Lookman). Juric, al 7° pari, è il nuovo Thiago. Al pronti-via, subito Ricci: dal limite, di destro, complice un fianco di Ederson. Palla al centro: solo Dea. Nonostante il k.o. di De Roon, avvicendato da Brescianini: una lama al posto di uno scudo. Pressing furibondo, recuperi su recuperi, dittatura assoluta, Diavolo asserragliato in cantina. Ahanor se ne mangia uno clamoroso, ed è proprio sua maestà Modric, dal momento che il calcio si ciba di paradossi, ad armare Pasalic che a sua volta, alla Modric, smarcherà Lookman: stop a seguire e jab sinistro alla mascella. Il primo gol post Aventino.

Allegri ha la panchina corta come una minigonna. Eppure toglie Leao, fin lì poco servito e ancora meno ispirato. Scelta forte, di confine. Sbuca un’anca ballerina. Sorrido. Tocca a Nkunku. Avrei scartato Gimenez. Tranquilli, uscirà anche il messicano: largo a Loftus-Cheek. Il corazziere che, con Saelemaekers, offrirà un po’ di ossigeno alla ripresa. Le rifiniture restano un disastro. Niente Scamacca, niente Krstovic: sarà Maignan, su sventola di Zappacosta, a fissare il risultato.

** Lecce-Napoli 0-1 (Anguissa). Non pianga, Francesco Camarda. Di rigori, ne hanno sbagliati persino Maradona e Platini, Van Basten e Zico. Alla tensione dei suoi 17 anni privilegio il coraggio: e i riflessi di Milinkovic-Savic. E poi, detto fra di noi, era un rigorino da mani-comio (di Juan Jesus). Ah, Basaglia: non finiremo mai di rimpiangerlo. La partita, quella, è stata sporca, ispida, avara. Il Lecce A aveva tenuto testa al Napoli B. Poi, strada facendo, Conte ha messo dentro Neres e, dopo il penalty del 56’, Hojlund, Spinazzola e McTominay; Di Francesco, in compenso, Morente, N’Dri, Stulic, Maleh e Pierret. Chi avrebbe mai potuto vincere? Chiedetelo ad Anguissa.

Indietro un altro

Roberto Beccantini27 October 2025

Che noia, ladies & gentlemen: indietro un altro. Via Igor Tudor, che aveva sostituito il trombato Thiago Motta ed era stato confermato – esclusivamente – per i rifiuti di Antonio Conte e Gian Piero Gasperini. Un traghettatore (el sciur Massimo Brambilla, from Next Gen) al posto di un altro traghettatore che otto partite senza vittorie le aveva raccolte «solo» nel gennaio-febbraio 2016 al Paok Salonicco.

Era il 2020, l’anno del nono e ultimo scudetto consecutivo. C’era Maurizio Sarri: sarebbe bastato confermarlo. C’era Andrea (fino al novembre 2022): sarebbe bastato non dare di fuori. Invece: Andrea Pirlo, il bis di Massimiliano Allegri (con coda di Paolo Montero), Motta, Tudor. E la squadra sempre lì, a galleggiare fra terzo e quarto posto. Una Dama in grigio, nello sport il colore più crudele.

Dall’Agnellino imploso tra supercazzola della Superlega e bilanci «hard» alla metafora dei Volonterosi, John Elkann, è stato tutto un continuo attorcigliarsi su ambizioni, valzer di direttore sportivi, amministratori, mercati (non Dusan Vlahovic, ma i suoi 12 milioni di stipendio). Il pesce puzza dalla «capa». La Juventus è la bilancia sulla quale, in Italia, si sale per pesare vittorie, insuccessi, ragioni, frustrazioni e torti. Ha sempre avuto fretta («vincere non è importante, è l’unica cosa che conta»), e la fretta è pericolosa, spericolata. Adesca, tradisce.

Nella mia griglia d’agosto figurava al quarto posto. Dietro Napoli, Inter, Milan. Per principio, sono contrario ai cambi in corsa. Ricordo voti mirabolanti alla campagna acquisti. I giocatori non pagano mai, beati loro. Tudor era un cerotto: si è staccato per impuntature assortite (Yildiz prigioniero della sinistra; lotteria delle formazioni; «falta» di personalità) e, molto, per il livello della rosa. Il ritorno di Bremer sembrava l’ennesimo inizio. Si parla di Luciano Spalletti: il genio di Napoli o la pippa dell’Europeo? A saperlo.

La Dama in grigio

Roberto Beccantini26 October 2025

Non facendo più paura, la Juventus la toglie a chi ne ha. La Lazio era decimata e, per questo, Sarri l’aveva «messa lì», sulla sponda del fiume. Aspettando un cadavere, uno qualsiasi. Tempo 9 minuti ed eccolo: sgorbio aereo di David, lecca di Basic, stinco di Gatti. Uno a zero. Da lì in poi, un polpettone indigesto che è diventato l’unico piatto nel menu del «rivoluzionario» Tudor. «Rivoluzionario» fin troppo: Perin al posto di Di Gregorio, il migliore del Bernabeu; Cambiaso esterno e McKennie interno, poi viceversa; Yildiz fuori e quindi dentro, ma sempre lassù, nella Siberia di sinistra. Koop all’inizio, Thuram alla fine. E in attacco: David-Vlahovic, Vlahovic-Openda. Con lo «stato minore» di Madama al algoritmare in tribuna.

Errori letali in uscita (di Locatelli, persino), alluci randagi, tiri rari come Gronchi rosa, uno scavetto di David, in capo all’unica azione decente della notte (Koop-Cambiaso), e una sgrullata di Thuram, prede laboriose di Provedel. Non credo che Igorone abbia perso lo spogliatoio. Peggio: ha perso quella bava di gioco che aveva trasmesso fino al 4-3 all’Inter. E qua e là recuperato addirittura con il Real.

Rimane la pena della striscia: 8 partite senza vittorie, 4 gare senza gol, 3 sconfitte di fila (Como, Real, Lazio). Della Lazio ho ammirato i dribbling di Isasken e l’anima di ferro, cruciale nel reggere il nevrotico e sterile possesso degli avversari. Sulla sfida – brutta, sporca e cattiva – ballano e mancano il secondo giallo a McKennie e un rigore da step on foot di Gila su Conceiçao, citofonare Bernardeschi al Franchi.

Guai, però, a trasformare gli episodi in benzina. La Juventus si è ficcata in un labirinto nel quale entrò proprio quando, nell’estate del 2020, licenziò «C’era Guevara». Mercoledì, l’Udinese: le ultime spiagge si stanno esaurendo.