Noche loca

Roberto Beccantini30 April 2025

Che locura, pazienti miei. Un 3-3 da film western, con un’altalena romanzesca di erezioni. Era l’andata delle semifinali di Champions: ritorno, martedì 6 maggio a San Siro. Chiedo scusa, ma comincio dai giocatori. Yamal (un gol da urlo, due traverse da orgasmo), «yngyocabyle» per metà gara. Thuram, Dumfries: i titolarissimi. Erano mancati, sono rientrati: tacco «dodici» del francese; assist e doppietta (sforbiciata, testa) del batavo, entrambi su corner e con Szczesny, in generale, un po’ troppo amletico.

Non c’era Lewandowski, torre cruciale. E, dal 46’, neppure Lautaro (flessori). Nel primo tempo, l’Inter è stata dentro agli episodi ma non alla partita, stradominata dagli avversari e accesa da falò improvvisi, sporadici. Nel secondo, viceversa, è stato dentro anche all’ordalia, creando situazioni non banali – compreso il 3-4 di Mkhitaryan annullato dal Var per una suola in offside – sino, almeno, alla lotteria degli ultimi minuti, scossa dai «biglietti» di Yamal e Raphinha.

Flick e Flock (Simone): il tedesco non rinuncia mai al sangue zemaniano che lo irrora, difesa impiccata a centrocampo e avanti Savoia, di palleggio o solfeggio, come ha certificato il 2-2 di Ferran Torres (su lancio di Pedri e sponda di Raphinha). Il quale Raphinha ha poi mollato una lecca spaventosa che, complici sbarra e portiere, fissava il tabellino. Il piacentino, fedele a una scuola che va dal catenaccio, se serve, al contropiede, idem, oppure – in altre occasioni – a una manovra più corale, meno bloccata. Veniva da tre sconfitte: ha reagito.

La squadra più giovane, con i 17 anni di Yamal e i 18 di Cubarsì a decorarne la trama. La squadra più anziana, con quel guerriero di Acerbi a zompare da una trincea all’altra. Il risultato perfetto è lo 0-0. Ma questa imperfezione, giuro, non mi ha annoiato.

«Dembappé»

Roberto Beccantini30 April 2025

Sino al momento del tiro o dell’ultimo dribbling, Dembélé era un pericolo per gli avversari. Subito dopo, dal tiro in poi, lo diventava per i compagni. Troppo onda, poco surf. Oggi non più. Oggi è «Dembappé». Segna sempre. Anche con un sinistro masticato come a Londra, su assist di Kvara. Semifinali di Champions, andata: l’1-0 del Paris all’Arsenal non è ancora una sentenza, ma già la indica. Ha vinto la squadra più squadra. Hanno giocato, entrambe, senza centravanti di ruolo, supplendo con la sinfonia e la sincronia delle pedine, fossero alfieri o cavalli.

Ad Arteta mancavano fior di titolari: le punte, soprattutto, da Gabriel Jesus a Havertz. Lo ha pagato. Luis Enrique è un frate che predica un calcio in cui tutti siano tutto, lontano dalle tentazioni dei diavoli in smoking (Messi, Neymar, Mbappé). Si può vincere o perdere per eccesso di tenori, come il Real; si può vincere o perdere senza sbronzarsi di champagne, ma bevendo acqua di fonte. Alludo ai giovani: João Neves, per esempio; 60 cocuzze, comunque. E meglio, naturalmente, se hai una guardia del corpo che tiene d’occhio il panorama e le metafore. Lo chiamavano «Dollarumma»: bravo su Martinelli, bravissimo su Trossard.

Non è stata una partita da leccarsi i baffi. Ma è rimasta sempre dentro le tensioni e le emozioni, con la costola napoletana del Paris – Kvara, Fabian Ruiz – a scortare la trama. Per venti minuti, ospiti dominanti: per pressing, per presidio, per tutto. Poi «Gunners» più audaci, ma non così letali da scalfire il tabellino. Ci ha provato Bukayo Saka; e pure Merino, «nove» d’emergenza. Calibrata da Marquinhos, la difesa ha saputo nascondere le crepe emerse al Villa Park.

A tratti, il «lanciatore» dell’Arsenal era il portiere, Raya (splendido, fra parentesi, su Doué): segno che l’autostrada era diventata un sentiero. Boskov ne avrebbe sorriso.

Scott machine

Roberto Beccantini27 April 2025

Ancora lui. Sempre lui. Scott McTominay. Il bersagliere di Scozia per il quale Conte aveva addirittura cambiato modulo già all’andata, contro la Juventus, da 3-5-2 a 4-3-3, pur di imbarcarne la stazza, l’esplosivo. La doppietta a un Torello mansueto segna il sorpasso e porta il bottino, in campionato, a 11 gol: uno in più del Vidal juventino etichetta 2012-2013. Filo conduttore, l’Andonio salentino, Brontolo o Dracula a seconda delle esigenze.

Mancano quattro giornate e la classifica urla – in barba al mio pronostico estivo – Napoli 74, Inter 71. Sarebbe il quarto scudetto della storia, il secondo nelle ultime tre stagioni, dopo la grande bellezza di Spalletti e la bruttezza non meno grande della triade Garcia-Mazzarri-Calzona, quando De Laurentiis volle strafare. Senza Kvara da gennaio.

La traversa di Billing avrebbe potuto arrotondare il bottino, mai in discussione, e rigato, esclusivamente, dagli infortuni di Anguissa, Buongiorno e Lobotka. Il Napoli ha l’agenda libera, vecchia storia, mentre ai campioni, come minimo, crescono le due con il Barça.

In una settimana si è rovesciato il mondo. L’Inter ne ha perse tre, uscendo persino dalla Coppa Italia, il Napoli ha vinto a Monza e liquidato i granata; e anche in Brianza aveva deciso McTominay. Un tuttocampista di 1,90 e 88 chili, scarto del Manchester United (non proprio l’idea del secolo), un armadio mobile che vede la porta e fa sentire le ante a chiunque osi ronzargli attorno.

Canta Napoli, dunque. Con i cori del Maradona e con la miglior difesa, marchio di fabbrica dell’allenatore. I tre titoli chez Madama, quello all’Inter: edificati, sempre, sul fortino più blindato. Non è finita, certo. Ma tre punti di vantaggio sono un tesoro che permette di sognare a occhi aperti.