Made in Max

Roberto Beccantini19 October 2025

Questa, poi. Rimonta e vetta. Milan-Fiorentina 2-1 emerge da un primo tempo di noia piatta e «giuoco» bolso, con Leao centravanti (un ossimoro), una svirgolatona di Pavlovic in mischia e la Viola rattrappita ma vigile. Decimato il Diavolo, in crisi gli avversari. Gli applausi a Pioli scortano un «caccia» che resta sulla pista di decollo sino al gollonzo di Gosens dopo respinta di Maignan e petto di Gabbia. Era il 56’. Un pizzicotto all’eccesso di zero che rispecchiava il nulla della contesa.

Due minuti e il Feticista si correggeva: fuori l’acerbo Athekame, Santi Gimenez a prender botte da nove vero, Saelemaekers a destra, la sua cuccia, e Rafa libero d’attacco, non più preda degli arpioni di Pongracic. Finalmente. Il Milan non poteva non buttarsi sotto. Lo reclamava San Siro. E così, ecco Leao uscire dalle ombre, dal grigiore, da tutto quello che volete tranne che dai complotti. Al 63’, il pareggio, con Ranieri out per infortunio, e un destro dal limite che il radar di De Gea localizzava tardi. E vai di polemica.

Leao, certo. Ma pure Gimenez. Un traliccio prezioso: girata sventata in extremis dal portiere e, all’86′, il rigorino, per kamasutra facciale di Parisi, che il Var suggeriva all’amletico Marinelli. In assenza di Pulisic, che allo Stadium – contro la Juventus – sparacchiò di piatto in curva, ci ha pensato Leao: almeno stavolta, da hombre con los huevos. Schiumava di rabbia, Firenze. Kean sostituito, squadra balbettante, come se la zavorra pesasse sulle coscienze (dell’arbitro, pure) e non solo sulla classifica.

Milan 16; Inter, Napoli e Roma 15; Bologna 13; Como e Juventus 12. Svincolato dall’Europa, Allegri prima o poi recupererà un po’ di califfi. Nel frattempo, se la gode. Di corto muso, come adora. Per lo spettacolo c’è sempre il circo. Oppure, Liverpool-Manchester United. Vale per tutti, naturalmente.

Lagoritmo

Roberto Beccantini19 October 2025

Mentre ancora i Ris indagavano sulle tracce della difesa (a quattro? a tre? A quattro, forse), il Como era già avanti. Angolo, schema (sic), cross radente di Nico Paz e, dal lato debole, il piede forte di Kempf. Oplà. Nico, I suppose. Lui, libero d’attacco. Yildiz, deportato a sinistra. E allora, al minuto 79, un attimo dopo l’ingresso di Vlahovic (non, però, al posto di David: «con»), contropiede purissimo, da costa a costa, Paz che si beve Cambiaso e, di sinistro, aggira Di Gregorio: per la cronaca, il migliore della Vecchia. Ventun anni, l’argentino. Quattro assist e quattro reti (sulle nove globali della squadra): però.

Dunque: Como due, Juventus zero. E, in attesa di Mbappé, primo k.o. stagionale dell’Igorone dei cinque pareggi. Fabregas era squalificato, ma la sua mano si vede e il suo piglio si sente. Nel pressing sfacciato, per esempio; in quei ripiegamenti improvvisi, per stanare i turisti di turno. In tribuna, Wenger e Henry, che chez Madama occupò tutti i ruoli tranne il suo. Capita anche ai più scafati (Triade, Ancelotti, eccetera).

La Juventus è questa. Apallica e confusa, non fa più paura da anni, chiunque la alleni. «Floopmeiners» è, da mesi, materia freudiana. David Jonathan ha perso la fionda che, a Lille, sfoderò proprio contro la Juventus di Comolli (Gigli?). Il resto, adesso: piedi sbiruli; Conceiçao sempre giù per terra; Thuram sferragliante da area ad area; e i tiri in porta, rari come i bar nei deserti.

L’aggressività riduce i dubbi: l’ha detto Velasco. Il Como l’ha preso alla lettera. Il Como di Nico ça va sans dire, ma anche di Vojvoda, di Da Cunha, di Kempft, dell’antico Morata, in versione pizzardone. I cambi di Tudor non hanno prodotto svolte. Siamo appena alla settima e il quarto posto della mia griglia scricchiola già drasticamente, al netto del sorpasso bolognese e dell’aggancio comasco. La butto lì: l’anagramma di algoritmo è lagoritmo.

Bonny soit qui mal y pense

Roberto Beccantini18 October 2025

Chi segna fa gol, brontolava Nuccio Parola ai tempi delle partitelle al Combi. Voleva dire: chi segna, ha vinto. E’ l’essenza del calcio, depurata dall’«Ovviomaltina» di noi pennivendoli. Roma-Inter ne è sintesi devota, efficace. Lancio di Barella, lupacchiotti distesi come lenzuola sulla trequarti, non un’anima che bracchi Bonny, il vice Thuram. Era il 6’: 0-1. Sesta vittoria di fila, Champions inclusa. E all’Olimpico giallorosso, nona trasferta senza sconfitte (6 successi e tre pari). Un caso?

Per un tempo, Chivu a cassetta. La rete, le lecche di Mkhitaryan, un diesel, e graffi che avrebbero dovuto essere morsi. Gasp? Da zero a due centravanti (Dovbyk, Ferguson), visto il «tridentino» battesimale – Soulé-Dybala falso nueve-Pellegrini – sistematicamente soffocato e disarmato dalle gabbie nerazzurre.

S’impenna, la sfida, in avvio di ripresa. L’Inter non la chiude, anche perché Svilar mura Dumfries (su lancio di Bastoni, ennesimo contropiede), la Roma potrebbe riaprila: con Dybala due volte, con Celik, con Dovbyk, precettato d’emergenza, l’occasione più grossa (e di testa, addirittura), con Soulé. Senza dimenticare i guanti di Sommer. I cambi rimescolano la trama. Pio si conferma prezioso nei corpo a corpo (e non solo); Mkhita l’armeno scheggia il palo, il 71% di possesso non aiuta la «Maggica». Il titolo recitava: miglior difesa contro miglior attacco. Ha vinto il miglior attacco «con» la miglior difesa. Non è un gioco di parole. Come non lo è, rispetto al passato, il contributo delle punte di riserva.

** Torino-Napoli 1-0 (Simeone). Infortuni, politica del doppio binario, il cuore granata: i campioni hanno pagato tutto in un colpo. Cruciale, naturalmente, il regalo di Gilmour. Ma bravo, bravissimo il Cholito a scartare il pacco con le forbici del dribbling, merce rara. Un palo di Vlasic, toccate e fughe, mischie bollenti e, dal 70’ o giù di lì, un sano catenaccio.
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